Primavere sempre più calde, migrazioni sempre più precoci

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Un nuovo studio mostra il legame degli effetti dei cambiamenti climatici sulle tempistiche delle migrazioni primaverili e autunnali degli uccelli americani


Le alterazioni nei tempi di fioritura e conseguente disponibilità degli insetti, provocate dall’aumento delle temperature conseguente agli attuali cambiamenti climatici, sarebbero responsabili delle sempre maggiore precocità delle migrazioni aviarie notturne sul territorio americano, soprattutto in primavera. A sostenerlo è uno studio pubblicato su Nature Climate Change da un gruppo di ricerca guidato da Kyle Horton della Colorado State University e Daniel Sheldon della University of Massachussets Amherst.

Le migrazioni degli uccelli, soprattutto quelle che coprono lunghe distanze (i cosiddetti migratori a lungo raggio), dipendono da molti fattori endogeni ed esogeni. Gli uccelli migratori tendono a sincronizzare le partenze con la disponibilità stagionale di cibo. Come fanno notare gli autori, l’anticipo degli eventi primaverili e della conseguente disponibilità di risorse dovuti a temperature più alte potrebbero avere un impatto anche sui tempi di migrazione degli uccelli.

Ma questa ipotesi non è di facile investigazione. Una delle difficoltà rilevate negli studi condotti fino ad oggi, notano gli autori, è la limitatezza del campione e del periodo temporale considerato, spesso ridotto a una o poche specie in un arco temporale di uno o pochi anni. Studi di questo tipo, per quanto abbiano contribuito ad accrescere la nostra conoscenza delle migrazioni, non riescono a offrire una visione complessiva del fenomeno. I piccoli campioni considerati spesso potrebbero mostrare alterazioni dovuti a fattori casuali (come la presenza di un anno dalle condizioni climatiche anomale).

Per superare questo limite, gli autori hanno condotto un’accurata analisi su un set di dati molto ampio, ricavato dalla copertura radar della NOAA (American Oceanic and Atmospheric Administration), basata su 143 radar distribuiti su tutto il territorio statunitense. Le analisi condotte coprono un periodo di 24 anni (dal 1995 al 2018), per circa 13 milioni di scansioni radar su 2115 notti primaverili e 2152 notti autunnali. Lo studio si è focalizzato sul picco migratorio aviario notturno, definito come il punto oltre il quale il 50% del fenomeno migratorio osservato è stato rilevato dal radar, durante le migrazioni notturne primaverili ed autunnali, per provare a quantificare l’impatto dell’aumento medio delle temperature durante queste stagioni sui fenomeni migratori stessi.

Come fanno notare gli autori, la portata di questo studio è inedita sia per il periodo considerato che per il numero di specie diverse intercettate dalla copertura radar. Per elaborare una mole di dati di questa entità, il gruppo di ricercatori si è avvalso di sofisticati strumenti statistici, soprattutto per confrontare le alterazioni nei tempi di migrazione con quelle delle temperature medie stagionali.

I risultati raccolti confermano le ipotesi formulate dal gruppo di ricerca, con una differenza di intensità tra dati primaverili ed autunnali. I picchi delle migrazioni stagionali in primavera mostrano un anticipo medio di circa 0.60 giorni/decade, soprattutto a 35, 40 e 45° di latitudine Nord. Effettivamente nelle latitudini settentrionali, dove ci si aspettava che gli aumenti di temperatura sarebbero stati percepiti di più, i tempi di migrazione sembrano essere sempre più precoci. Lo stesso fenomeno si assiste anche con i picchi delle migrazioni autunnali, sebbene con valori dimezzati, soprattutto a 40 e 45° di latitudine Nord. Un dato, quest’ultimo, che secondo gli autori è condizionato da una minore pressione selettiva sulle tempistiche migratorie rispetto alla fase primaverile. È infatti solo in primavera che gli uccelli devono arrivare nel momento opportuno per sfruttare il picco delle risorse alimentari a cui sono legati proprio quando saranno impegnati nella cura della prole.

Per confermare questi risultati gli autori hanno analizzato la correlazione tra la precocità crescente del fenomeno migratorio e l’aumento medio delle temperature alle latitudini considerate. I risultati confermano l’ipotesi, dal momento che ben il 96% delle stazioni radar segnalano una variazione media della temperatura primaverile che oscilla tra -0.36 a + 1.49°C/decade. Le conclusioni dello studio evidenziano una correlazione tra anomalie dei picchi migratori e quelle delle temperature.

Questo studio, concludono i ricercatori, si aggiunge alla sempre maggiore mole di dati sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Gli autori sottolineano la necessità di approfondire ulteriormente questo modello, estendendolo a latitudini ancora più settentrionali, come ad esempio quelle che attraversano l’Alaska. Si aspettano di poter approfondire ulteriormente l’impatto del global warming fenomeni migratori degli uccelli, per avere una comprensione più ampia delle sue conseguenze.


Fonte:
Kyle G. Horton, Frank A. La Sorte, Daniel Sheldon, Tsung-Yu Lin, Kevin Winner, Garrett Bernstein, Subhransu Maji, Wesley M. Hochachka, Andrew Farnsworth. Phenology of nocturnal avian migration has shifted at the continental scale. Nature Climate Change, 2019; DOI: 10.1038/s41558-019-0648-9

Immagine: da Wikimedia Commons