Quando la scienza fa male i conti

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Pikaia ha letto per voi “Eppure non doveva affondare” scritto dal fisico Devis Bellucci.

Nei giorni scorsi un mio studente mi diceva che, a suo avviso, gli errori nella scienza non dovrebbero essere ammessi, perché minano le basi della fiducia nella ricerca scientifica. Se anche gli scienziati sbagliano, di chi dovremmo fidarci?

Spesso effettivamente siamo portati a pensare (o a sperare che) la scienza sia una sorta di regno della certezza, ma la realtà è ben diversa. Come possiamo imparare a rapportarci con gli errori e con il fatto che essi sono parte della quotidianità della scienza? Un ottimo modo per iniziare a riflettere su questo tema è Eppure non dove affondare (Bollati Boringhieri, 2024), libro scritto da Devis Bellucci, fisico dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Eppure non dove affondare ci ricorda che “ogni storia di scienza è una storia di errori. Errori che scompigliano le idee, dato che non sposano la teoria, fallimenti che portano a immaginare modelli sempre più perfezionati per descrivere un frammento di realtà.

Ovviamente tutti gli scienziati cercano di rimediare agli errori presenti nelle proprie teorie e in generale nel sapere scientifico oggi disponibile, sapendo però che è necessario saper convivere con l’errore. Non sono certamente errori cercati, ma sono sbagli presenti nella normale attività scientifica, nei calcoli, nelle deduzioni o nella conduzione di un esperimento, così come in ipotesi, teorie e programmi di ricerca. Gli errori sono, quindi, perfettamente fisiologici e solo una visione superficiale dell’impresa scientifica può dipingerli come macchie nella reputazione degli scienziati o come passi falsi sulla via della scoperta scientifica.

Il compito dello scienziato non è mettere dei punti fermi su cui riposare in pace, ma lavorare di lima e scalpello per sgrossare progressivamente il nostro grado di incertezza, comprimendolo sempre più. Si tratta di una conoscenza in divenire, che germoglia da un impasto di radicale scetticismo e messa in discussione delle proprie conquiste, pur nella meraviglia di scoprire che qualcuna di esse continua a rimanere in piedi, nonostante l’avvento di nuovi dati sperimentali; dico meraviglia perché è lì che si intravede, forse, quel po’ di verità, che è concessa agli uomini su questa terra“.

Dal galeone Vasa (che nel 1628 affondò durante il suo viaggio inaugurale perché le maestranze dell’epoca non avevano usato le stesse unità di misura creando una nave asimmetrica) al volo del C4-Argonaut precipitato per un cedimento strutturale, le pagine di Eppure non doveva affondare ci mostrano non solo il modo in cui la scienza ha imparato e continua a imparare dai propri errori, siano essi di misura o di materiali, ma anche come ogni ricercatore organizza e pensa il proprio lavoro. Fare ricerca scientifica non significa infatti solamente fare esperimenti e osservazioni, ma anche fare una analisi razionale di ciò che il resto della comunità scientifica propone e del modo in cui i dati sono analizzati.

Quando gli errori sono pubblicati

Gli errori sono presenti in ogni ambito scientifico e, come ricorda Bellucci, in ambito medico-biologico spesso “la cantonata può arrivare da una inadeguata analisi statistica dei dati” e “durante la pandemia, la tendenza a pubblicare rapidamente i risultati delle ricerche” ha favorito moltissimo di questo risultato. Nel solo 2023, ad esempio, sono stati ritrattati più di diecimila articoli e a questi andrebbero aggiunti migliaia di articoli pubblicati anche se privi di un numero adeguato di campioni per supportare realmente le conclusioni degli autori o frutto di reali frodi. La ritrattazione di un articolo è un doppio fallimento per la ricerca scientifica, perché questo significa anche che la peer review, cioè quella revisione tra pari per cui ogni ricercatore diviene giudice dell’operato dei colleghi, non ha funzionato.

Le pagine di Devis Bellucci guidano il lettore anche alla scoperta del mondo in cui funzionano la peer reviewil processo editoriale, che portano alla pubblicazione di quegli articoli su cui si fonda la solidità di scoperte e teorie. Alla fine dei conti per il fatto che diecimila articoli siano stati ritrattati lo scorso anno è anche una forte evidenza del fatto che, quando sbaglia, la scienza ha la capacità di auto-correggersi. Un esempio, per molti aspetti clamoroso, è legato a Fermi che in una nota alla sua Nobel Lecture del 1938 ammise che non tutto quello che aveva pubblicato rispecchiava la realtà dei fatti. Fermi riconobbe che i suoi esperimenti non avevano creato elementi transuranici, come inizialmente proposto. Fu il suo più grave errore e non ebbe problemi ad ammetterlo (qui un approfondimento).

Questo esempio penso che possa essere particolarmente utile anche per la teoria dell’evoluzione, perché nonostante questo errore, oggi nessuno nutre dubbi sul fatto che Enrico Fermi sia stato il più grande fisico nucleare al mondo e il resto del suo lavoro non è mai stato messo in discussione. Numerosi autori hanno, invece, pensato che trovando anche solo un piccolo errore in una qualche parte del lavoro di Darwin, sarebbe stato possibile buttare nel cestino tutta la sua proposta. E se anche Darwin si fosse sbagliato su qualche osservazione? Il libro di Bellucci, ci ricorda quale deve essere il nostro obiettivo principale, che non è la difesa di Darwin, ma la ricerca di teorie solide e supportate da dati… e quella darwiniana è ancora assolutamente solida.

Per altro proprio l’opera di Darwin con la sua attenzione verso le obiezioni degli avversari, la consapevolezza dei punti deboli, la forza delle evidenze e delle argomentazioni, e soprattutto la consapevolezza del rischio di alcune predizioni (alcune poi corroborate, altre smentite) è ancora oggi una ottima dimostrazione del modo in cui una teoria nasce ed evolve.

Scienza, errori e pandemia

Il modo in cui funziona la scienza è stato oggetto di una ampia discussione durante la recente pandemia del virus SARS-CoV2 (qui un esempio) e certamente tornerà a breve a esserlo parlando di intelligenza artificiale, di editing del DNA e così via perchè, come scrive Bellucci, “siamo crivellati come groviera da contraddizioni, limiti e vissuti differenti. Noi in quanto informatici, sociologi, economisti, imprenditori, politici, giornalisti e in primis gente comune, siamo chiamati a far parte di una società della conoscenza dove tutti siamo protagonisti“. Essere parte di una società della conoscenza, caratterizzata dal ruolo primario della conoscenza e dalla diffusione delle più recenti scoperte scientifiche, implica che i cittadini sono e saranno sempre più spesso chiamati a pronunciarsi su temi di attualità riguardanti scienza e tecnologia. Affinché possano decidere in modo consapevole, è necessario fornire loro non solo informazioni complete e corrette su tali argomenti, ma anche che sia chiaro il modo in cui la scienza procede.
Ritengo condivisibile il forte richiamo di tanti esperti a rallentare e riflettere, a investire risorse non solo per costruire insieme il futuro, ma anche per difenderlo, prevenendo e mitigando le conseguenze degli errori che verranno. In questo libro abbiamo letto di ponti ed edifici che collassano, di aerei che esplodono in volo, di farmaci che diventano inefficaci, di fisici, chimici, informatici e geni della matematica che prendono cantonate imbarazzanti. Tutto questo continuerà ad accadere e purtroppo ci ritroveremo a contare dei morti“.
Prendere atto del fatto che la storia della scienza è anche una storia di errori, ci permette di comprendere che la scienza è fatta di passi avanti straordinari e di altrettanto incredibili passi indietro, e non c’è di che vergognarsi per questo. Il fallimento scientifico può e deve funzionare come propulsione, come stimolo per ulteriori indagini, senza che questo vada a inficiare l’affidabilità della scienza. Come ha recentemente scritto il fisico Piero Martin, l’errore è un momento di libertà e di crescita e siccome non possiamo eliminarlo, possiamo almeno imparare a farne buon uso.