Risonanze evolutive e altre mirifiche invenzioni
La Società Italiana di Biologia Evoluzionistica stronca la Teoria delle Risonanze Evolutive, che secondo gli autori dovrebbe mettere in discussione i meccanismi di evoluzione dei viventi
Esattamente cinquant’anni fa una band di Liverpool pubblicava un brano che diceva: “immagina di essere su una barca su un fiume / con alberi di mandarini e un cielo color marmellata / qualcuno ti chiama, rispondi con lentezza / è una ragazza con gli occhi a caleidoscopio”. Fu una rivoluzione musicale, l’immaginazione al potere.
Ottenere una rivoluzione scientifica tramite un semplice atto d’immaginazione è più difficile: la realtà è testarda, i dati non si piegano alla nostra fantasia. Così, quando poco tempo fa un giovane fisico e un biostatistico hanno pubblicato un articolo (A. Damasco, A. Giuliani, 2017, “A resonance based model of biological evolution”, Physica A, 471: 750-756) definito frettolosamente da alcuni media e social italiani come una “rivoluzione” rispetto alla teoria dell’evoluzione, siamo rimasti un po’ sorpresi. Intendiamoci: le incursioni di specialisti di altre discipline in biologia evoluzionistica sono benefiche, e i biologi evoluzionisti sono una comunità scientifica che ama le “contaminazioni” e i cambiamenti di paradigma. È già successo che matematici, fisici e chimici abbiano elaborato nuovi modelli per spiegare diversi aspetti dei processi evolutivi, e noi ne siamo da sempre ben contenti. La nostra è una disciplina sorprendente, le sorprese sono benvenute, e quelle con basi rigorose vengono accolte con entusiasmo.
Dopo attenta lettura, ci sentiamo di affermare che l’articolo dei due ricercatori italiani non fa certamente parte di quest’ultima categoria. Non entriamo nel merito della matematica dell’articolo, che descrive il comportamento di pendoli con movimento forzato. Ma gli autori dicono: “ora immaginiamo che le popolazioni di esseri viventi siano pendoli”. Ecco, qui le cose si fanno imbarazzanti. Nelle fasi iniziali dello studio di un processo complesso, anche un modello completamente astratto può rivelarsi utile per stimolare la discussione e la sperimentazione, e favorire il progresso scientifico. E questo è vero anche se poi il modello dovesse rivelarsi errato. E’ il caso, per esempio, del modello di trasmissione ereditaria ipotizzato da Charles Darwin 100 anni prima della scoperta del DNA. Ma Darwin, oggi, non si sognerebbe nemmeno di proporre gemmule e pangenesi per spiegare la somiglianza tra genitori e figli, ignorando tutto e tutti da Mendel in poi. Si può immaginare che gli esseri viventi siano quello che si vuole: pendoli, dirigibili, salami con le zampe, dischi volanti, ma se questi modelli violano tutte le “leggi della natura” che sono già assodate, sono semplicemente sbagliati. Non necessariamente sbagliati matematicamente, ma sbagliati perché non sono veri modelli. Se lo scopo è fare un esercizio di stile, va bene. Ma dovrebbe finire lì, come l’articolo sembra inizialmente avvertire (“non proponiamo una definitiva teoria matematica dell’evoluzione, ma speriamo che questo esercizio sarà utile per generare ipotesi”). Invece la cose è chiaramente sfuggita di mano agli Autori, in alcune interviste, e ad alcuni media, tanto che questi ultimi parlano di Teoria delle Risonanze Evolutive e della fine del neodarwinismo.
L’articolo descrive in modo noncurante e superficiale fenomeni evolutivi ben noti, che non funzionano e non si sono prodotti come affermato nell’articolo: fra i tanti, la confusione tra teoria degli equilibri punteggiati e il saltazionismo (dando per scontato che il record fossile descriva l’evoluzione come un insieme di non ben definiti “trends discontinui”), le descrizioni caricaturali e scorrette dell’esplosione del Cambriano o della presunta stabilità climatica del Mesozoico, in disaccordo con tutte le pubblicazioni scientifiche degli ultimi trent’anni. Il trattamento matematico delle popolazioni considera solamente la media dei valori dei caratteri, nonostante un secolo e mezzo di matematica applicata all’evoluzione abbiano provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che è la variabilità dei caratteri che permette l’evoluzione. Sorprendentemente, tutte le forze evolutive sono mescolate in una indistinta “forza” che fa “oscillare” i valori dei caratteri, malgrado esistano solide leggi matematiche che permettono di discernere e modellizzare l’azione della selezione, della migrazione, della mutazione, della deriva genetica. In sostanza, si dice: “abbiamo dimostrato come i caratteri possono variare, e questo dimostra come le specie possono evolvere”. Magari fosse così semplice… e se solo non si sapessero già molte cose che Damasco e Damiani, nello scrivere questo articolo, hanno probabilmente deciso d’ignorare.
Un lampo di realismo appare nelle conclusioni, dove si ammette che la presunta teoria rivoluzionaria non ha alcuna verificabilità sperimentale (e quindi, in senso stretto, non rientra nell’ambito scientifico, a differenza del corpus corrente – e in perpetua “evoluzione” – della teoria dell’evoluzione). Riassumendo, non capiamo perché due scienziati (il primo più giovane e inesperto, e possiamo capire un suo scivolone, e l’altro, ben più ”senior”, che dovrebbe saperne di più ed evitare simili stravaganze) e una rivista scientifica (il cui comitato di redazione probabilmente ne sa poco di biologia, trattandosi di una rivista di meccanica quantistica) si prestino a questo gioco che consiste nel proporre nuovi meccanismi per descrivere un fenomeno ignorandone (non confutandone: ignorandone) i principi basilari già noti.
In sostanza, questo articolo non dice purtroppo nulla di utile rispetto al suo presupposto oggetto. Siamo chiari fino in fondo: gli atti d’immaginazione sono l’ossigeno indispensabile alla scienza, spesso restia ad accogliere idee non convenzionali; tuttavia, l’immaginazione deve andare a braccetto con il rigore metodologico, di cui manca questo articolo. Senza rigore, l’immaginazione fa pur sempre cose straordinarie: per esempio, musiche bellissime che attraversano le generazioni. Purtroppo o per fortuna, invece, nella scienza, “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”, come dissero, ciascuno alla sua epoca, David Hume, Pierre-Simon Laplace, Carl Sagan e probabilmente molti altri.
Telmo Pievani (Presidente), Ivan Scotti, Giorgio Bertorelle, Marco Passamonti, Emiliano Trucchi, Omar Rota-Stabelli, Mariella Rasotto, Giorgio Binelli, Maurizio Casiraghi, Lino Ometto, Stefano Mazzotti
membri della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica (SIBE)
Ottenere una rivoluzione scientifica tramite un semplice atto d’immaginazione è più difficile: la realtà è testarda, i dati non si piegano alla nostra fantasia. Così, quando poco tempo fa un giovane fisico e un biostatistico hanno pubblicato un articolo (A. Damasco, A. Giuliani, 2017, “A resonance based model of biological evolution”, Physica A, 471: 750-756) definito frettolosamente da alcuni media e social italiani come una “rivoluzione” rispetto alla teoria dell’evoluzione, siamo rimasti un po’ sorpresi. Intendiamoci: le incursioni di specialisti di altre discipline in biologia evoluzionistica sono benefiche, e i biologi evoluzionisti sono una comunità scientifica che ama le “contaminazioni” e i cambiamenti di paradigma. È già successo che matematici, fisici e chimici abbiano elaborato nuovi modelli per spiegare diversi aspetti dei processi evolutivi, e noi ne siamo da sempre ben contenti. La nostra è una disciplina sorprendente, le sorprese sono benvenute, e quelle con basi rigorose vengono accolte con entusiasmo.
Dopo attenta lettura, ci sentiamo di affermare che l’articolo dei due ricercatori italiani non fa certamente parte di quest’ultima categoria. Non entriamo nel merito della matematica dell’articolo, che descrive il comportamento di pendoli con movimento forzato. Ma gli autori dicono: “ora immaginiamo che le popolazioni di esseri viventi siano pendoli”. Ecco, qui le cose si fanno imbarazzanti. Nelle fasi iniziali dello studio di un processo complesso, anche un modello completamente astratto può rivelarsi utile per stimolare la discussione e la sperimentazione, e favorire il progresso scientifico. E questo è vero anche se poi il modello dovesse rivelarsi errato. E’ il caso, per esempio, del modello di trasmissione ereditaria ipotizzato da Charles Darwin 100 anni prima della scoperta del DNA. Ma Darwin, oggi, non si sognerebbe nemmeno di proporre gemmule e pangenesi per spiegare la somiglianza tra genitori e figli, ignorando tutto e tutti da Mendel in poi. Si può immaginare che gli esseri viventi siano quello che si vuole: pendoli, dirigibili, salami con le zampe, dischi volanti, ma se questi modelli violano tutte le “leggi della natura” che sono già assodate, sono semplicemente sbagliati. Non necessariamente sbagliati matematicamente, ma sbagliati perché non sono veri modelli. Se lo scopo è fare un esercizio di stile, va bene. Ma dovrebbe finire lì, come l’articolo sembra inizialmente avvertire (“non proponiamo una definitiva teoria matematica dell’evoluzione, ma speriamo che questo esercizio sarà utile per generare ipotesi”). Invece la cose è chiaramente sfuggita di mano agli Autori, in alcune interviste, e ad alcuni media, tanto che questi ultimi parlano di Teoria delle Risonanze Evolutive e della fine del neodarwinismo.
L’articolo descrive in modo noncurante e superficiale fenomeni evolutivi ben noti, che non funzionano e non si sono prodotti come affermato nell’articolo: fra i tanti, la confusione tra teoria degli equilibri punteggiati e il saltazionismo (dando per scontato che il record fossile descriva l’evoluzione come un insieme di non ben definiti “trends discontinui”), le descrizioni caricaturali e scorrette dell’esplosione del Cambriano o della presunta stabilità climatica del Mesozoico, in disaccordo con tutte le pubblicazioni scientifiche degli ultimi trent’anni. Il trattamento matematico delle popolazioni considera solamente la media dei valori dei caratteri, nonostante un secolo e mezzo di matematica applicata all’evoluzione abbiano provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che è la variabilità dei caratteri che permette l’evoluzione. Sorprendentemente, tutte le forze evolutive sono mescolate in una indistinta “forza” che fa “oscillare” i valori dei caratteri, malgrado esistano solide leggi matematiche che permettono di discernere e modellizzare l’azione della selezione, della migrazione, della mutazione, della deriva genetica. In sostanza, si dice: “abbiamo dimostrato come i caratteri possono variare, e questo dimostra come le specie possono evolvere”. Magari fosse così semplice… e se solo non si sapessero già molte cose che Damasco e Damiani, nello scrivere questo articolo, hanno probabilmente deciso d’ignorare.
Un lampo di realismo appare nelle conclusioni, dove si ammette che la presunta teoria rivoluzionaria non ha alcuna verificabilità sperimentale (e quindi, in senso stretto, non rientra nell’ambito scientifico, a differenza del corpus corrente – e in perpetua “evoluzione” – della teoria dell’evoluzione). Riassumendo, non capiamo perché due scienziati (il primo più giovane e inesperto, e possiamo capire un suo scivolone, e l’altro, ben più ”senior”, che dovrebbe saperne di più ed evitare simili stravaganze) e una rivista scientifica (il cui comitato di redazione probabilmente ne sa poco di biologia, trattandosi di una rivista di meccanica quantistica) si prestino a questo gioco che consiste nel proporre nuovi meccanismi per descrivere un fenomeno ignorandone (non confutandone: ignorandone) i principi basilari già noti.
In sostanza, questo articolo non dice purtroppo nulla di utile rispetto al suo presupposto oggetto. Siamo chiari fino in fondo: gli atti d’immaginazione sono l’ossigeno indispensabile alla scienza, spesso restia ad accogliere idee non convenzionali; tuttavia, l’immaginazione deve andare a braccetto con il rigore metodologico, di cui manca questo articolo. Senza rigore, l’immaginazione fa pur sempre cose straordinarie: per esempio, musiche bellissime che attraversano le generazioni. Purtroppo o per fortuna, invece, nella scienza, “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”, come dissero, ciascuno alla sua epoca, David Hume, Pierre-Simon Laplace, Carl Sagan e probabilmente molti altri.
Telmo Pievani (Presidente), Ivan Scotti, Giorgio Bertorelle, Marco Passamonti, Emiliano Trucchi, Omar Rota-Stabelli, Mariella Rasotto, Giorgio Binelli, Maurizio Casiraghi, Lino Ometto, Stefano Mazzotti
membri della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica (SIBE)