Wolbachia è indubbiamente uno dei batteri non patogeni su cui stanno uscendo le pubblicazioni scientifiche più intriganti. Nell’ultimo fascicolo della rivista
Science, il gruppo di ricerca coordinato da
Zhiyong Xi, entomologo medico alla
Michigan State University, riporta la selezione di un ceppo di
Wolbachia in grado di rendere le zanzare resistenti al plasmodio della malaria.
Secondo quanto riportato da Science, il ceppo wAlbB di Wolbachia si è dimostrato in grado di infettare stabilmente popolazioni di laboratorio della zanzara Anopheles stephensi, il principale vettore della malaria in Asia. A seguito dell’instaurarsi di questa nuova simbiosi, le zanzare sono risultate resistenti al plasmodio. Data la capacità di Wolbachia di trasferirsi verticalmente di madre in figlia si potrebbe quindi pianificare il rilascio di femmine di zanzare infettate da Wolbachia in modo da favorire la diffusione da un lato di Wolbachia nelle popolazioni naturali e dall’altro della resistenza acquisita al plasmodio.
Altri gruppi di ricerca avevano tentato questa via, senza successo. Questa differenza può essere spiegata in termini di scelta del clone con cui tentare. Secondo quanto riportato in letteratura, cloni diversi di
Wolbachia possono avere proprietà biologiche e capacità ben diversificate (come avevamo riportato anche su
Pikaia nelle settimane scorse) e la pubblicazione di Xi e colleghi ne è una ulteriore prova.
L’interesse applicativo per la simbiosi Wolbachia-Anopheles è ulteriormente enfatizzato dal fatto che il ceppo di Plasmodium falciparum usato per i test in laboratorio è molto più attivo di molti dei ceppi presenti comunemente nelle zanzare, tanto da suggerire che la resistenza indotta da Wolbachia in campo potrebbe essere addirittura superiore a quanto osservato in laboratorio.
Sulla base dei dati ad oggi disponibili, la resistenza al plasmodio della malaria sembrerebbe derivare dal fatto che Wolbachia aumenta i livelli di radicali liberi dell’ossigeno, definiti ROS (specie reattive dell’ossigeno), presenti nella zanzare e tali molecole andrebbero ad interferire con il ciclo vita di P. falciparum.
E’ quindi interessante notare come dallo studio dell’evoluzione delle relazioni tra ospite e simbionti, stia prendendo sempre più forza la possibilità di derivare vere e proprie
evolutionary applications, nel senso di strumenti pratici da utilizzare in campo. L’evoluzione ci insegna però che le interazioni tra ospiti, simbionti e parassiti sono dinamiche, tanto che non si possono fare previsioni sul fatto che in campo il plasmodio non possa evolvere a propria volta una sorta di resistenza a
Wolbachia andando quindi a richiedere la pianificazione di nuove strategie. Come
riportato per la farfalla Hypolimnas bolina è possibile non solo evolvere la resistenza a
Wolbachia, ma tale risultato può essere conseguito anche in tempi celeri. In questa corsa agli armamenti, quindi, possiamo sperare di poter sfruttare almeno per un po’ a nostro vantaggio la simbiosi tra
Wolbachia e
A. stephensi cercando di limitare la diffusione di una malattia che per morbilità e mortalità è seconda solo alla tubercolosi.
Bibliografia:
Deepak Joshi, Yuemei Dong, Peng Lu, Guoli Zhou, Xiaoling Pan, Yao Xu, George Dimopoulos, Zhiyong Xi (2013). Wolbachia invades Anopheles stephensi populations and induces refractoriness to Plasmodium infection. Science 340: 748-751
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.
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