Sul concetto anti-teleologico di selezione naturale
La storia del concetto di selezione naturale ha generato molte convinzioni errate: fra queste, l’idea che sia un processo cosciente e finalistico
In biologia moderna, la selezione naturale è definita come la sopravvivenza e riproduzione differenziale di organismi diversi all’interno di una popolazione. Per essere più precisi, le variazioni che emergono all’interno della popolazione sono casuali, ma la loro preservazione é non-casuale perchè le variazioni che aiutano la sopravvivenza e la riproduzione diverranno probabilmente più comuni di quelle che non l’aiutano.’
Ad oggi, il concetto di selezione naturale è forse il più noto della teoria darwiniana anche ai non biologi; tuttavia, le definizioni che ne sono state date dal 1859 in poi hanno causato non pochi fraintendimenti sul suo effettivo funzionamento. Ne L’origine delle specie Charles Darwin dedica un intero capitolo (IV) alla nozione di selezione naturale, definendola come ‘la conservazione delle variazioni favorevoli e l’eliminazione delle variazioni nocive (p.91)’. Ernst Mayr (1982) riconosce come, successivamente alla pubblicazione dell’opera darwiniana, molti biologi abbiano aderito alla teoria della discendenza comune con poche riserve; tuttavia, bisognerà aspettare sino agli anni Trenta e Quaranta del ‘900 (con lo sviluppo della Sintesi Moderna), affinché la selezione naturale venga accettata dalla maggioranza degli evoluzionisti. Darwin era ben consapevole del rischio che il meccanismo della selezione naturale potesse essere contaminato da una certa dose di finalismo, come se fosse un processo guidato da un’ entità cosciente, magari soprannaturale. Per tale ragione, Darwin si preoccupò di specificare nella terza edizione de L’origine che: ‘ È stato spesso detto che io parlo della selezione naturale come di un potere attivo o una Divinità; ma chi avanzerebbe obiezioni ad un autore che si riferisca all’attrazione della gravità come regolatrice del movimento dei pianeti? Ognuno sa cosa si vuol significare attraverso tali espressioni metaforiche; e per brevità, esse sono quasi necessarie. Così, dunque, è difficile evitare di personificare il termine Natura; ma con Natura io intendo solo l’azione congiunta e il prodotto di molteplici leggi naturali, e per ‘leggi’ la sequenza degli eventi da noi osservati (ascertained)’ (Peckham, 2006[1959]; p. 165).
Nell’Abbozzo del 1842 e nel Saggio del 1844, seppur mai dati alle stampe, ricorrono due casi molto curiosi in cui Darwin paragona la selezione a un essere cosciente. Al lettore che non conoscesse gli sviluppi più maturi della teoria darwiniana, tali luoghi potrebbero creare confusione. Alle pp.10-11 dell’ Abbozzo, Darwin scrive: ‘se un essere infinitamente più sagace dell’uomo (non un creatore onnisciente) nell’arco di migliaia di anni dovesse selezionare tutte le variazioni tendenti verso determinati fini […]’, ecco allora che avrebbe prodotto animali e piante più adatte alle mutate condizioni di vita. Poi prosegue: ‘Chi, vedendo come le piante variano in un giardino- ciò che l’uomo cieco e ingenuo ha fatto in qualche anno- negherebbe che potrebbe realizzare in migliaia di anni un essere che tutto vede (se il Creatore decidesse di farlo) o mediante la sua propria lungimiranza o attraverso mezzi indiretti- che rappresentano il Creatore di questo universo […]?’ (Darwin, 2009).
Due anni più tardi, Darwin affinerà quel medesimo passaggio. È necessaria una piccola precisazione: mentre l’ abbozzo (35 pp.) era stato pensato esclusivamente ad uso dell’autore, come promemoria, il saggio del 1844 (230 pp.) viene redatto in uno stile più formale. Darwin infatti, temendo per la sua salute, aveva concepito il manoscritto come destinato alla pubblicazione qualora fosse stato colto da morte prematura. Nonostante in più luoghi cerchi di mostrare come la sua teoria sia più plausibile di quella delle creazioni speciali, egli non esclude la possibilità che un dio possa operare attraverso leggi secondarie stabilite all’origine della creazione. Così scrive Darwin:‘Immaginiamo un Essere con un acume sufficiente a percepire le differenze nell’organizzazione interna ed esterna in un certo grado invisibili (quite imperceptible) all’uomo […] In un tempo sufficiente, un tale Essere potrebbe ragionevolmente ambire (senza qualche sconosciuta legge che gli si opponga) a qualsiasi risultato […] sarebbe una persona sfacciata quella che certamente ponesse limiti a ciò che tal supposto Essere potrebbe fare durante interi periodi geologici. In accordo al piano con cui sembra che l’universo sia governato dal Creatore, consideriamo se esistano mezzi secondari nell’economia della natura attraverso cui il processo di selezione potrebbe produrre adattamenti […]Io credo che tali mezzi secondari esistano’ (pp.85-87; Darwin, 2009).
Persino il collega Alfred Russell Wallace, in una lettera del luglio 1866, avvertirà Darwin dell’ambiguità del termine selezione naturale (notando come esso si presti a facili fraintendimenti), e suggerendo di sostituirlo con l’infelice frase spenceriana sopravvivenza del più adatto, che effettivamente impiegherà a partire dalla quinta edizione (1869).
Nonostante tali fraintendimenti siano sorti subito dopo il 1859, essi continuano a complicare la comprensione del concetto di selezione naturale. Come nota Pievani (2013), il meccanismo è anti-teleologico ed esso si compone di due catene causali indipendenti (variazione e condizioni di esistenza), la cui combinazione è contingente: esso ‘esclude che il cambiamento evolutivo in sé possa essere canalizzato verso un fine né tantomeno progettato da una mente intenzionale. L’esito attuale non era necessario, ma uno fra i tanti possibili (p.71). In altre parole, la variazione prodotta non è predeterminata rispetto alla sua utilità, dannosità o neutralità: tali proprietà saranno assunte solo in relazione a determinate condizioni di esistenza. Cos’è che ha dunque causato tanta resistenza nei confronti del concetto di selezione naturale? Mayr (1982) elenca numerose ragioni, ma sopratutto mette in risalto come per molti decenni le prove sperimentali a favore della selezione naturale siano state esigue. Inoltre, la selezione è una spiegazione probabilistica e materialistica della preservazione e creazione di novità adattive ed essa elimina la necessità di un intervento soprannaturale. Dunque, oltre alla mancanza di prove empiriche e di metodi adeguati per osservare la selezione in natura, gran parte delle difficoltà furono dovute ad una visione estremamente antropocentrica della realtà, che precludevano lo studio della nostra specie attraverso gli stessi processi che influenzano gli altri organismi viventi (pp.510-525).
La storia dello sviluppo del pensiero biologico è storia di fraintendimenti e resistenze ideologiche. L’assenza di qualsiasi pre-determinazione è indissolubilmente legata al disfacimento dello scenario creazionista. Nessun fine, progetto o agente dotato d’intenzionalità: in loro luogo, un’evoluzione imprevedibile, in larga parte contingente e altrettanto affascinante.
Bibliografia:
Burkhardt, F. (2008), Evolution: selected letters of Charles Darwin, Cambridge University Press, pp. 308
Darwin, C. (1859[2009]), L’Origine delle Specie, a cura di Giuliano Pancaldi, BUR, pp.565
Darwin, C. (1909 [2009]), The Foundations of the Origin of Species, a cura di Francis Darwin, Cambridge University Press, pp.263
Darwin, C. (2009), L’origine dell specie: Abbozzo del 1842. Lettere 1844-1858. Comunicazione del 1858, a cura di Telmo Pievani, Einaudi, pp. 117
Mayr, E. (1982), The Growth of Biological Thought, Harvard University Press, pp.859
Peckham, M. (1959), The Origin of Species: a Variorum Text, University of Pennsylvania, pp. 816
Pievani, T. (2013), Anatomia di una rivoluzione, Mimesis, pp. 195
Consegue la laurea triennale in Antropologia evoluzionistica presso l’Università di Liverpool (2020) e magistrale in Filosofia della biologia e delle scienze cognitive presso l’Università di Bristol (2021). Interessato alla storia delle idee, con particolare riferimento a Darwin, si avvicina alla storia della filosofia, su tutte quella medievale e moderna