Un dente da latte di 13.000 anni fa racconta i movimenti dei cacciatori-raccoglitori nel Nord Italia
Il reperto apparteneva a un bambino di 11 o 12 anni ed è stato ritrovato in uno dei ripari delle Grotte di Pradis, nelle Prealpi Friulane. Un’indagine multidisciplinare guidata da studiosi dell’Università di Bologna ha permesso di ricostruire le strategie di mobilità stagionale dei cacciatori-raccoglitori dell’area nel tardo Paleolitico superiore
Circa 13.000 anni fa, in uno dei ripari delle Grotte di Pradis, nelle Prealpi Friulane, un bambino di 11 o forse 12 anni ha perso un dente da latte. Grazie a quel piccolo dente, oggi sappiamo che il gruppo di cacciatori-raccoglitori a cui apparteneva il bambino si muoveva stagionalmente in quella zona con uno scopo preciso: cacciare marmotte. La scoperta – pubblicata su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – arriva da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna.
“Questa è la prima testimonianza diretta delle strategie di mobilità stagionale dei gruppi umani presenti nel Nord Italia durante la fase della cultura epigravettiana, nel tardo Paleolitico superiore”, spiega Matteo Romandini, ricercatore al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna e Direttore del Museo della Grotta di Pradis, tra gli autori dello studio. “Inoltre, il piccolo dente da latte ci ha dato la possibilità di conoscere da vicino le prime fasi della vita del bambino e le condizioni della madre durante la gravidanza, consegnandoci così informazioni importanti sulla struttura sociale di un gruppo di cacciatori-raccoglitori dopo l’ultima era glaciale”.
L’altopiano di Pradis, a oltre 500 metri sul livello del mare, nel cuore delle Prealpi Carniche, in provincia di Pordenone, è stato frequentato a più riprese nel corso del Paleolitico superiore e fa parte di una rete di siti preistorici che si sviluppa lungo tutta l’area alpina, attraverso la quale si muovevano diversi gruppi di cacciatori-raccoglitori.
“Sappiamo che nelle Grotte di Pradis, la quasi totalità dei resti animali venuti alla luce appartiene a una sola specie – la marmotta alpina – ed è proprio tra questi resti che, nel corso della mia tesi di Dottorato presso l’Università di Ferrara, ho riconosciuto il dente umano oggetto di questo studio”, afferma Nicola Nannini anch’esso co-autore del lavoro.
Ma chi erano questi cacciatori-raccoglitori? E in che modo utilizzavano l’area di Pradis per le loro strategie di sopravvivenza? Alcune importanti risposte sono custodite nel piccolo dente da latte ritrovato.
Grazie all’analisi diretta del dente umano al radiocarbonio realizzata, dalla professoressa Sahra Talamo direttrice del laboratorio 14C BRAVHO dell’Università di Bologna, è stato possibile attribuire un’età molto precisa al reperto, che risale ad un periodo compreso tra 13.088 e 12.897 anni fa.
Le analisi chimiche e biomolecolari hanno poi permesso di stabilire che il dente apparteneva a un bambino di 11-12 anni, nato però lontano dall’area dell’altopiano di Pradis. Lo studio del rapporto isotopico dello stronzio, misurato in alta risoluzione spaziale su una sezione istologica ottenuta dal dente, ha infatti permesso di ricostruire la frequenza degli spostamenti del bambino, e di conseguenza del gruppo di cacciatori-raccoglitori con cui conviveva.
“I dati che abbiamo ottenuto mostrano un pattern simil-sinusoidale, probabilmente riconducibile ad una mobilità stagionale programmata”, spiega Federico Lugli, ricercatore Unibo e primo autore del lavoro. “Il reperto risale ad un’epoca post-glaciale, in cui si è verificata un’estesa ma graduale riforestazione dell’area e questo ha portato i gruppi umani a muoversi di stagione in stagione nelle zone che potevano offrire le risorse più utili e abbondanti”.
La grande quantità di resti di marmotte ritrovate nei ripari delle Grotte di Pradis, insieme ai dati emersi dall’analisi del dente, suggeriscono quindi che quel luogo fosse una tappa stagionale dedicata specificamente alla caccia di questi piccoli roditori. Una fase che avveniva probabilmente tra settembre e ottobre, quando le marmotte accumulano risorse per prepararsi alla stagione invernale.
“Il grande lavoro multidisciplinare che è stato realizzato dimostra la grande varietà di informazioni che è possibile ottenere anche da un piccolo reperto come un singolo dente umano”, commenta il professor Stefano Benazzi, direttore del BONES Lab che ha coordinato lo studio. “Grazie a questo sforzo congiunto, è stato possibile aggiungere un importante tassello allo studio dell’evoluzione umana recente e delle abitudini dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani”.
Al termine della fase di analisi, il piccolo dente da latte è stato restaurato con una nuova metodologia che prevede la ricostruzione e la stampa 3D delle porzioni prelevate per i campionamenti analitici, restituendo così al reperto la sua morfologia originale. Il dente è ora tornato nel luogo in cui è stato ritrovato e sarà presto esposto al Museo della Grotta di Pradis, nel Comune di Clauzetto, in provincia di Pordenone.
Riferimenti:
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports con il titolo “Tracing the mobility of a Late Epigravettian (~ 13 ka) male infant from Grotte di Pradis (Northeastern Italian Prealps) at high‑temporal resolution”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Federico Lugli, Rita Sorrentino, Antonino Vazzana, Eugenio Bortolini, Gregorio Oxilia, Sara Silvestrini, Luca Bondioli, Matteo Romandini e Stefano Benazzi del Dipartimento di Beni Culturali, insieme a Sahra Talamo del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”.
Immagine in apertura: foto di BONES Lab – Università di Bologna; credit : Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia-Giulia
Fonte: comunicato stampa
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports con il titolo “Tracing the mobility of a Late Epigravettian (~ 13 ka) male infant from Grotte di Pradis (Northeastern Italian Prealps) at high‑temporal resolution”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Federico Lugli, Rita Sorrentino, Antonino Vazzana, Eugenio Bortolini, Gregorio Oxilia, Sara Silvestrini, Luca Bondioli, Matteo Romandini e Stefano Benazzi del Dipartimento di Beni Culturali, insieme a Sahra Talamo del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”.
Immagine in apertura: foto di BONES Lab – Università di Bologna; credit : Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia-Giulia
Fonte: comunicato stampa