Verso una rinnovata comprensione dell’estetica neanderthaliana
Un nuovo studio getta luce sulla complessità culturale neanderthaliana, indagandone la sensibilità estetica
A oggi, i progressi delle scienze paleoantropologiche ci consentono di leggere – quasi in filigrana – persino nelle più riposte espressioni delle antiche culture umane. Ed è proprio la circostanziata storia di una di tali espressioni, la sensibilità “estetica” in Homo neanderthalensis, a essere oggetto di un approfondito contributo a firma di Andra Meneganzin e Anton Killin, entrambi ricercatori post-doc, rispettivamente presso l’università di Leuven e l’Università di Bielefeld.
Possiamo parlare di estetica neanderthaliana?
Ma andiamo con ordine. Se abbiamo virgolettato “estetica”, ne abbiamo avuto una precisa ragione. L’estetica, in quanto tale, è invero disciplina di matrice settecentesca: l’accezione moderna del termine si fa comunemente risalire ad Alexander Baumgarten, che dell’estetica intraprese la prima, rigorosa sistematizzazione. Ora, ciò non impedisce di parlare di una “estetica prima dell’estetica” o, in questo caso, di una sensibilità estetica neanderthaliana. I problemi precedono sovente le costruzioni concettuali che se ne offrono e, bisogna ricordarlo, tali costruzioni, se si rivelano utili nell’ordinare un reale molteplice e spesso confuso, devono essere impiegate con una certa cautela: e ciò soprattutto perché, inscindibilmente connessi a tali categorie, vi abitano pregiudizi morali, filosofici e religiosi che possono agire negativamente sulla nostra comprensione dell’uomo e della sua storia.
Teniamo bene a mente questo, e consentiamoci di parlare di estetica neandertaliana; ora, finalmente, senza virgolette. Proseguiamo e definiamo, con la formula adottata dagli Autori, l’esperienza estetica come “una attenzione emotivamente accresciuta verso l’attrattività o grandiosità di un oggetto (Davies, 2012, p. 1 in Meneganzin e Killin 2024, p.2)” e, ancora, parliamo di esperienza pre-estetica di H. neanderthalensis, a ragione del carattere incipiente di tale esperienza.
E qui – chiedendo al lettore un po’ di pazienza – ci dirigiamo verso un altro ordine di problemi. Quell’innocuo morfema (“pre”) che ci fa dire pre-estetica, racchiude in realtà un universo intellettuale di pre-giudizi che proprio i nostri autori si propongono di abbattere. Perché, se è vero che sarebbe ingenua pertinacia identificare l’estetica di Neanderthal e Sapiens, quasi a voler ciecamente tutelare la cultura neanderthaliana da ogni approccio critico; quel dire pre-estetica colloca, altrettanto ciecamente, l’estetica neanderthaliana su un piano di inferiorità, di imperfetta realizzazione – incipiente, appunto – rispetto all’estetica moderna, a una sua forma “piena e compiuta”. Eppure, è proprio questo secondo pregiudizio ad aver impedito per molto tempo una piena comprensione della cultura neandertaliana, ivi inclusa la sua complessità estetica.
Le prove della sensibilità estetica neanderthaliana
Volgendosi contro una serie di argomenti scettici al riguardo, i nostri autori tentano di riabilitare un’area di studi che, una volta dissodata, può fornire sorprendenti guadagni teorici. Innanzitutto, ci viene ricordato come, sebbene audaci interpretazioni di isolate tracce archeologiche possano certamente essere sottoposte a severa critica e talvolta rigettate, ciò non impedisce che l’elevato numero di evidenze oggi a disposizione componga un tale quadro unitario e coerente che si rivela difficile sgretolarne d’un colpo le fondamenta.E ciò grazie anche alla robusta interdisciplinarietà della paleoantropologia, che le permette di costruire una salda intelaiatura scientifica.
Nel nostro caso, i molteplici e diversi elementi a nostra disposizione, riguardanti gli impieghi ornamentali di certi manufatti, trovano una propria coerente unità se letti alla luce di una certa capacità estetica; quegli stessi elementi, viceversa, risulterebbero incomprensibili se spiegati unicamente come l’esito di fattori meramente contingenti.
Inoltre, i nostri Autori rimarcano a ragione come la lacunosità di alcune tracce materiali possa solo falsamente indicare l’assenza di tale o tal’altra componente cognitiva e culturale. Ad esempio, se non si rinvenissero monili con determinati caratteri estetici, ciò non vorrebbe necessariamente dire che non se ne sia conosciuto l’impiego; quanto che, data la natura frammentaria del record archeologico, tali monili potrebbero non aver lasciato tracce sufficientemente chiare.
Nel Pleistocene, la nostra specie non era la sola ad avere senso del bello
Così, riesaminando le ipotesi di Wynn e Berlant (2019) sulla presenza di una certa sensibilità estetica già nel primo Pleistocene, in antenati comuni a Neanderthal e Sapiens, si suggerisce che entrambe le specie di tale sensibilità avrebbero potuto ereditarne i tratti essenziali: un’attenzione alla simmetria delle parti; l’esagerazione di alcune porzioni di manufatto, per risaltarne altre caratteristiche; la scelta di noduli con concrezioni ‘ornamentali’; l’impiego di materiali rari e di difficile recupero, sarebbero alcuni tra gli indicatori di una notevole cura per l’estetica di un’utensile o di un monile.
Pertanto, concludono i Nostri, posto che sia sempre necessario esaminare il contesto contingente ad ogni traccia materiale, diverrebbe possibile porre la presenza di una sensibilità estetica nei Neanderthal, che ne dica tutta la complessità: complessità per altro già a noi nota in altri, svariati ambiti, della cultura neanderthaliana.
Riferimenti:
Meneganzin, A., & Killin, A. (2024). Beyond reasonable doubt: reconsidering Neanderthal aesthetic capacity. Phenomenology and the Cognitive Sciences, 1–33. doi: 10.1007/s11097-024-10003-0
Baumgarten, A. (1750[2020]), Estetica, a cura di S. Tedesco, Palermo: Aesthetica edizioni
Davies, S. (2012), The artful species, Oxford: Oxford University Press
Wynn, T., & Berlant, T. (2019). The handaxe aesthetic. In: K. A. Overmann, & F. L. Coolidge (Eds.), Squeezing minds from stones: Cognitive archaeology and the evolution of the human mind, Oxford: Oxford University Press, pp. 278-303
Immagine in apertura: gioiello di neanderthal composto da artigli di aquila. Di: Luka Mjeda, Zagreb, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
Consegue la laurea triennale in Antropologia evoluzionistica presso l’Università di Liverpool (2020) e magistrale in Filosofia della biologia e delle scienze cognitive presso l’Università di Bristol (2021). Interessato alla storia delle idee, con particolare riferimento a Darwin, si avvicina alla storia della filosofia, su tutte quella medievale e moderna