Vivere di ossa: la straordinaria biologia di Osedax

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Un gruppo di policheti siboglinidi ha trovato una fonte di cibo straordinaria: le ossa dei cadaveri delle balene che si depositano sul fondo del mare. Nella loro biologia sono aiutati da una notevole comunità di batteri simbionti

Un mio illustre collega una volta mi disse una frase che non dimenticherò mai: “tutto ciò che non è vietato dalle leggi della fisica, prima o poi la biologia lo inventa”.
Certo è che, alle volte, non siamo preparati a notizie che sembrano fantascientifiche. Nel 2004, lo zoologo australiano Greg Rouse, ora alla Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California annunciò la scoperta di un gruppo completamente nuovo di anellidi policheti che vivono in un habitat molto particolare: lo scheletro delle balene morte appoggiato sul fondo del mare a grandi profondità. La scoperta fu abbastanza casuale e avvenne durante una ricerca con un veicolo operato da remoto (ROV) – chiamato Tiburon – nella baia di Monterey, in California, a 2900 m di profondità. Mangiatori di ossa
Il nuovo genere fu correttamente battezzato Osedax (“mangiatore di ossa”) e venne catalogato fra i policheti siboglinidi, assieme a quelli che un tempo venivano chiamati pogonofori (ora vestimentiferi), ossia quei “vermi” che popolano, tra l’altro, i dintorni delle sorgenti idrotermali di grandi profondità. La scoperta fu, ovviamente, elettrizzante per gli scienziati a bordo della nave appoggio, ma non potevano certo immaginare ciò che sarebbe seguito. L’eccezionalità della scoperta fu comunque sottolineata dal fatto che l’articolo originale venne pubblicato su Science, una rivista generalista che certo non usa pubblicare lavori di sistematica. Ma le stranezze di Osedax non si limitano all’habitat. I ricercatori, che naturalmente negli anni scopersero numerose nuove specie del genere (attualmente se ne contano 25, fra i 2,5 e i 7 cm di lunghezza, distribuite nei mari profondi di tutta la Terra, fra 10 e 4200 m di profondità) furono sorpresi di trovare centinaia di maschi nani “ospitati” all’interno dei tubi gelatinosi scavati nelle ossa delle balene dalle femmine. Una attenta ricerca, sempre del gruppo di Rouse, ha potuto discriminare tra varie ipotesi sull’origine dei maschi nani (cambiamento di sesso nel corso della vita, origine da popolazioni vicine, differenziamento a partire da un pool unico di larve), scoprendo che le prime larve che raggiungono i cadaveri delle balene diventano femmine, mentre quelle successive, a centinaia, si sviluppano in maschi nani, arrestando il loro sviluppo ad una fase molto precoce. Non vi è dunque un differenziamento genetico del sesso, bensì un differenziamento ambientale analogamente a quanto avviene, ad esempio, in Bonellia (un altro anellide). La riproduzione è ovviamente spinta al massimo poiché una volta che la carcassa della balena è stata completamente digerita, gli individui di Osedax sono destinati a una triste fine, ma nel frattempo l’enorme quantità di larve prodotte viene trasportata in giro per il mare a cercare altri cadaveri da colonizzare.

I simbionti di Osedax
Osedax

Immagine: dalla pubblicazione

Scavare nelle ossa di una balena per crearsi un alloggio non è un’impresa da poco, soprattutto se si è un vermiciattolo di un millimetro di diametro! Niente Paura: Osedax, come molte altre (tutte?) forme di vita ospita dei simbionti: li ha scelti molto bene, sicché, quando i vermi femmina si trovano a contatto con le ossa degli scheletri dei cetacei, e debbono “mettere radici”, producono dei prolungamenti basali con molti batteri sub-epidermici, contenuti in apposite strutture cellulari (batteriociti). Questi batteri (che appartengono agli Oceanospirillales, ossia proteobatteri che vivono in profondità e in condizioni estreme) producono acidi che consentono alle “radici” di penetrare nelle ossa e lì digerire il collagene e i lipidi (gli scheletri delle balene contengono un’enorme quantità di grassi. Ad esempio una balena di 90 tonnellate si stima contenga 5 tonnellate di olio nelle ossa!). I dettagli biochimici – ormai noti – forniscono un fantastico esempio di evoluzione convergente con l’attività degli osteoclasti (le cellule che contribuiscono al turnover del materiale osseo) dei mammiferi. Il materiale organico inglobato dai batteri simbiotici fornisce cibo agli Osedax.

Un esperimento lungo 14 anni
Ora una ricerca – sempre da parte del produttivo gruppo di Greg Rouse – ha cercato di caratterizzare l’abbondante comunità di batteri che colonizzano l’esterno delle varie specie di Osedax. Ciò è stato fatto osservando che succede nel tempo alle carcasse di balena sul fondo. Un esemplare di balena morta è stato affondato in un luogo noto del Canyon di Monterey a 1018 m di profondità, mentre un altro fu trovato per caso (discovered serendipitously, scrivono gli autori), appena arrivato sul fondo a 3239 m nel Davidson Seamount. Campioni sono stati prelevati con ROV a intervalli regolari, nel caso della balena affondata nel luogo noto, fra 8 e 172 (!) mesi dalla deposizione.

Nel corso dei 14 anni dello studio delle comunità batteriche associate all’esterno di sette specie diverse di Osedax, mediante studi molecolari, di metagenomica e di microscopia i ricercatori hanno dimostrato che le comunità di epibionti appartengono per il 30% ai Campylobacterales, e che le composizioni delle comunità sono riproducibili nel tempo, dinamiche e metabolicamente diverse dagli individui simili a vita libera. L’analisi dei genomi ha rivelato grande abbondanza di geni che codificano per sistemi di secrezione assenti nelle forme analoghe a vita libera, forse per assicurare l’adesione agli ospiti e le relazioni fra le forme diverse all’interno delle comunità.

Tre sono le forme di batteri epibionti dominanti: tutte hanno affinità per habitat ricchi di sostanze organiche e di solfuri, tuttavia il cambiamento della composizione delle comunità rivela che esse sono dinamiche. Fattori del cambiamento possono essere le capacità metaboliche dei batteri, la regolazione da parte degli ospiti e i cambiamenti chimici dell’ambiente, conseguenti al processo di decomposizione delle carcasse delle balene. Concludono gli autori: “I nostri risultati forniscono prove di una relazione persistente ma dinamica fra Osedax e specifici Campylobacterales epibionti che possiedono uniche caratteristiche genomiche. Tuttavia, il ruolo del biofilm sula fisiologia di Osedax rimane sconosciuto”. Riferimenti:

Rouse GW., S K Goffredi, R C Vrijenhoek. Osedax: bone-eating marine worms with dwarf males Science 2004, 305(5684): 668-71. doi: 10.1126/science.1098650. Vrijenhoek RC, Johnson SB, Rouse GW. Bone-eating Osedax females and their ‘harems’ of dwarf males are recruited from a common larval pool. Mol Ecol. 2008 Oct;17(20):4535-44. doi: 10.1111/j.1365-294X.2008.03937.x Goffredi S, Panossian B, Brzechffa C, Field N, King C, Moggioli G, Rouse GW, Martín-Durán JM, Henry L. A dynamic epibiont community associated with the bone eating worm OsedaxPreprint from Research Square, 07 Dec 2022 DOI: 10.21203/rs.3.rs-2341896/v1

Immagine: Osedax rubiplumus, illustrazione di David Orr, wwww.davidorogenic.com, NerNite Exp Pack, utilizzata con licenza Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.0 Generico (CC BY-NC-ND 2.0), via Flickr