A rischio di invasione

Una equipe internazionale ha mappato su scala planetaria il rischio di invasione da parte di specie aliene

Nel corso degli ultimi anni numerose specie sono riuscite a conquistare nuove nicchie ecologiche in cui instaurarsi e riprodursi ben al di fuori delle aree tipiche di distribuzione. La presenza di specie invasive è oggi di crescente interesse per i danni che tali invasori arrecano, tanto che in molte nazioni (tra cui anche in Italia come potete vedere qui) sono presenti veri e propri progetti di monitoraggio. La portata dei danni arrecati è tale che per la prima volta nella storia, la Nuova Zelanda ha presentato un progetto che si propone di eliminare tutte le specie invasive dal paese entro il 2050.

Un esempio in Italia è quello della nutria, un grosso roditore sud-americano, che importato in Italia a partire dal 1920 è oggi diffuso ampiamente lungo i corsi d’acqua e nelle zone lagunari del centro e nord Italia. Tra i più recenti invasori possiamo invece annoverare la “cimice diabolica” Halyomorpha halys, insetto originario dell’Asia orientale che, oltre a invadere le case, ha arrecato gravissimi in agricoltura in Emilia-Romagna (qui una descrizione) o la Vespa velutina, un calabrone asiatico predatore di api in grado di arrecare seri danni apicoltura.

La necessità di segnalare la diffusione delle specie invasive è di tale rilevanza che in moltissimi casi la comunità scientifica ha deciso di avvalersi dei cittadini come fossero vere e proprie sentinelle, tanto che esistono propri progetti di citizen science per segnalare specie pericolose, come la Vespa velutina (qui il link al progetto di monitoraggio) o la coccinella arlecchino (qui un esempio).

Un dato certo è che le specie invasive arrecano un danno economico, ma cosa succede quando ad essere coinvolte sono nazioni in via di sviluppo? Ha cercato di dare una risposta a questo quesito una equipe internazionale di ricercatori che ha pubblicato i risultati della propria ricerca in un recente articolo apparso sulla prestigiosa rivista Nature Communication.

Incrociando i dati di distribuzione commerciale di piante ed animali con quelli derivanti da altri ambiti quali gli indici di valutazione della biodiversità, la tipologia di attività agricole e i cambiamenti climatici, emerge che circa il 15% della superficie del nostro piante è estremamente vulnerabile alle invasioni. Un aspetto interessante è che le variazioni in atto delle tratte commerciali verso alcune nazioni in via di sviluppo renderanno queste aree a rischio crescente di invasione. In particolare, tra le aree a rischio vi sono sia nazioni occidentali che hanno già adottato strumenti di difesa (avendo avuto precedenti casi di invasione di specie aliene), che nazioni che ad oggi sembrano avere ridotte (e inadeguate) capacità di risposta a potenziali “invasori”. E’ quindi opportuno che a fronte di un incremento della possibilità di attrarre nuovi scambi commerciali e/o turisti, le singole nazioni si dotino anche di appropriati programmi di early warning e di monitoraggio di potenziali specie invasive già attivi in altre nazioni (qui un esempio).

Da questa analisi emerge inoltre che le principali aree con ampia biodiversità sono presenti in nazioni che ad oggi sembrano avere una ridotta capacità di rispondere a specie invasive. Questa aree, già minacciate dalle attività antropiche e dai cambiamenti climatici, necessitano quindi di essere ulteriormente tutelate anche dall’arrivo di specie invasive (attraverso ad esempio i trasporti aerei) che potrebbero arrecare ulteriori danni.

Sebbene globalmente le risorse investite sullo studio e monitoraggio della biodiversità siano diminuite nel corso dell’ultimo decennio, è oggi evidente che da tali attività deriva anche la precoce individuazione di specie invasive… motivo per cui aumentare le risorse disponibili può essere il modo migliore per evitare i danni (anche economici) che l’arrivo di specie invasive sicuramente comporta.