Alla scoperta della citizen science
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Anche in Italia la «scienza fatta insieme ai cittadini» è in espansione. Vediamo di cosa si tratta e come può essere utilizzata anche a scuola
Charles Darwin e la citizen science: breve storia della scienza partecipata
Il termine citizen science è stato usato per la prima volta nel 1989, e letteralmente lo potremmo tradurre con «scienza fatta dai cittadini». Apparentemente sembrerebbe un controsenso. La scienza è fatta (appunto) dagli scienziati, che dopo anni di studi hanno accumulato conoscenze e capacità per produrre nuove conoscenze attraverso la pratica della ricerca scientifica. Gli scienziati sono dei professionisti: lavorano nelle università, nei centri di ricerca e nelle aziende private, e comunicano i loro risultati alla comunità di riferimento attraverso le pubblicazioni scientifiche.![Alla scoperta della citizen science 3 img272 960x0 e70b101749ffac46a819d9b4fe15ba53](https://pikaia.eu/wp-content/uploads/2023/05/img272_960x0_e70b101749ffac46a819d9b4fe15ba53-620x1024.jpg)
Il volantino diffuso da Edmund Halley. Immagine: University of Cambridge, Institute of Astronomy Library (https://www.repository.cam.ac.uk/handle/1810/221308), licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
L’esplosione della citizen science
Retrospettivamente i casi precedenti sono tutti esempi di citizen science ante litteram, ma nel passato emergevano occasionalmente ed erano tutto sommato puntiformi e circoscritti. Oggi, invece, è un fenomeno di massa e ben rappresentato in molti paesi. Da una parte, la crescita della citizen science deriva da un cambiamento profondo nel rapporto tra scienza e società cominciato verso la fine del secolo scorso, quando si affermò l’idea che scienziati e cittadini dovessero poter dialogare tra loro; dall’altra, lo sviluppo della citizen science è legato al progresso tecnologico degli ultimi decenni, quando la diffusione di internet e smartphone ha facilitato moltissimo sia il coinvolgimento sia la raccolta dei dati da parte di scienziati non professionisti. Se ci pensiamo, oggi un smartphone è un vero e proprio “coltellino svizzero” di sensori, e nel mondo ce ne sono più di 7 miliardi. iNaturalist, per esempio, è una delle più famose app per la raccolta di dati sulla biodiversità, che oggi conta oltre 3 milioni di iscritti. Chiunque può fotografare un organismo e condividere lo scatto con gli altri utenti segnalando, grazie al GPS, la posizione esatta. Nel caricare l’osservazione, a cui possiamo aggiungere altri dettagli, cerchiamo di classificare l’organismo aiutati da un’intelligenza artificiale che analizza la foto. Sarà tuttavia la comunità di iNaturalist, che comprende molti esperti, a confermare (se possibile) il nome della specie o a suggerirne un altro, fino a finalizzare l’osservazione secondo un meccanismo di consenso. Alla fine di una camminata all’aria aperta potremmo quindi aver imparato a dare un nome a un nuovo animale o a una nuova pianta, e avremo creato un dato che, insieme a moltissimi altri, può essere utile agli scienziati.Scienza e partecipazione
Dall’esempio precedente potremmo aver immaginato che per fare citizen science basti scaricare una app e cominciare a condividere le proprie osservazioni, in maniera totalmente autonoma. Questa è una possibilità, ma la citizen science prevede in realtà diversi livelli di coinvolgimento dei cittadini. Per esempio, sempre tramite iNaturalist è possibile entrare in contatto con progetti specifici che raccolgono osservazioni su un certo gruppo di organismi o una certa località. Oppure l’app può essere usata per la raccolta dei dati in modo coordinato con i ricercatori. Ne sono un esempio i bioblitz, dove i cittadini interessati sono invitati a trovarsi in una certa località e a censire il maggior numero di specie in un intervallo di tempo stabilito (di solito 24 ore). In casi come questo c’è uno scambio diretto e personale con gli scienziati. Va anche detto che non sempre è indispensabile una specifica app per fare citizen science. Per esempio, il progetto di monitoraggio delle api Beewatching, nato in Italia, richiede l’invio di fotografie e dei dati principali dell’osservazione attraverso un semplice sito web curato dai ricercatori del Centro Agricoltura e Ambiente del CREA e del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. I cittadini possono essere coinvolti ancora prima che cominci la raccolta dati, progettando assieme ai ricercatori l’esperienza. Si parla in questo caso di co-design, una pratica che prevede di solito specifici workshop che hanno l’obiettivo di adattare il progetto al contesto locale e alle conoscenze e capacità dei cittadini volontari. Può anche succedere che una ricerca parta dalle necessità di una comunità, che intende vederci chiaro in merito a un problema locale, e per questo collabora con gli scienziati per reperire i dati necessari. È successo con la crisi dell’acqua di Flint, in Michigan. Nel 2014, a causa di interventi inopportuni sull’acquedotto, le tubature in piombo hanno cominciato a corrodersi. I cittadini hanno notato un cambiamento nell’odore, nel colore e nel sapore dell’acqua, ma l’amministrazione ripeteva che era sicura. Fino a quando LeeAnne Walters non si è rivolta all’ingegnere ambientale Marc Edwards, che trovò l’acqua del suo rubinetto molto inquinata. Ne è nato un programma di monitoraggio in tutta Flint, a cui i cittadini parteciparono con appositi kit distribuiti dagli studenti di Edwards. L’acqua non solo non era sicura, era molto pericolosa.![Alla scoperta della citizen science 4 levels of participation and engagement in citizen science projects adapted from](https://pikaia.eu/wp-content/uploads/2023/05/levels-of-participation-and-engagement-in-citizen-science-projects-adapted-from-haklay_960x0_ffc8dc6313eb54671c97c37075c39089.png)
Uno schema che riepiloga i diversi livelli di coinvolgimento che possiamo trovare nella citizen science. Immagine: da Assumpção, Thaine Herman, et al. “Citizen observations contributing to flood modelling: opportunities and challenges.” Hydrology and Earth System Sciences Discussions, 26 July 2017, pp. 1-26, doi:10.5194/hess-2017-456. Licenza Creative Commons Attribution 4.0 International https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Citizen science e scuola
Non tutte le ricerche scientifiche si adattano alla citizen science, specialmente quando il livello di coinvolgimento è alto. Il monitoraggio della biodiversità, come nel caso di iNaturalist, è il campo in assoluto più fecondo, ma non è il solo. Per esempio, durante il lockdown da COVID-19, gli astronomi hanno chiesto ai cittadini confinati a casa di affacciarsi al balcone e inquadrare il cielo con il loro smartphone. L’obiettivo era misurare su tutta la penisola l’inquinamento luminoso ed è stato un successo.Noi studiamo le formiche, che sono anche organismi sensibili ai cambiamenti della qualità ambientale. Si potrebbero usare come bioindicatori negli ambienti urbani, ma non sappiamo bene quali specie vivono nelle città. Con i mezzi tradizionali sarebbe molto difficile scoprirlo, anche a causa dei fondi limitati. Questo, una decina di anni fa, ci ha avvicinato alla citizen science.I ricercatori si sono chiesti a quali cittadini rivolgersi e come, poiché l’obiettivo della citizen science è che la ricerca scientifica risponda anche ai bisogni di chi partecipa. Questo ha portato i ricercatori nelle scuole di Parma, che in quel periodo cercavano proprio nuove esperienze didattiche. Il vantaggio della scuola è che si tratta di un ambiente circoscritto, dove grazie agli insegnanti è possibile operare con continuità. Dopo qualche esperimento nelle scuole elementari e medie, il progetto nel 2016 è stato esteso anche alle scuole superiori. SoA utilizza dei protocolli che permettono a cittadini non esperti, bambini inclusi, di catturare formiche in ambiente urbano, usando materiali di uso comune. Le formiche catturate sono poi state inviate al laboratorio, dove è stato effettuato il riconoscimento. In seguito, i ricercatori sono tornati a raccontare i risultati portando i dati che gli studenti avevano prodotto e dove possibile hanno preparato le formiche per l’osservazione al microscopio in classe. Spiega ancora Castracani:
È un modo per insegnare il metodo scientifico mettendo “le mani in pasta. Abbiamo mostrato cosa significa raccogliere dati e confrontarli, e perché bisogna farlo in un certo modo.In seguito, la collaborazione col Muse di Trento ha permesso di espandere il progetto oltre Parma. È stato sviluppato un kit chiamato Antbox che contiene, oltre agli strumenti di raccolta, tutto il materiale per sviluppare un progetto didattico in classe. I ricercatori e gli operatori del Muse continuano a tenersi in contatto con gli insegnanti e organizzano periodici seminari, sia per introdurre l’esperienza ai docenti interessati, sia per aggiornare chi ha partecipato. Al momento il progetto SoA ha coinvolto quasi 3000 studenti e oltre 100 insegnanti di 50 scuole, in 23 province distribuite principalmente nel nord e centro-Italia (Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Puglia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Veneto). L’ambizione, però, è coinvolgere tutte le scuole Italiane. Protocolli simili, inoltre, potrebbero essere usati in altri progetti di citizen science. I ricercatori hanno presentato l’esperienza e i dati ottenuti in due pubblicazioni scientifiche, nel 2014 e nel 2020.
L’importanza del metodo
Ci si può fidare dei dati raccolti da cittadini? Secondo Andrea Sforzi, presidente dell’associazione Citizien Science Italia, la risposta è sì. Intervenendo a marzo al convegno Citizer Science. Indicazioni e best practice per l’Emilia-Romagna, Sforzi ha spiegato che secondo gli studi i dati prodotti con l’aiuto dei cittadini possono senza dubbio avere la stessa qualità di quelli prodotti con un altre tecniche. Sforzi ha anche specificato che il successo di un’esperienza di citizen science parte dal metodo: non è la partecipazione dei cittadini in quanto tale ad aumentare le probabilità di produrre dati scadenti, tutto dipende dall’organizzazione dell’esperienza. Questa è una parte di cui si devono occupare prevalentemente i ricercatori. Per esempio, nel progetto SoA la parte di riconoscimento della specie, che prevede l’uso di chiavi dicotomiche e microscopi, è sempre stata svolta dagli specialisti.Ecco l’intervento di Andrea Sforzi:
L’associazione Citizen science Italia è nata anche a questo scopo. È necessario identificare delle best practices, cioè procedure condivise per la progettazione delle esperienze, in modo da rendere più facile e proficuo l’accesso alla citizen science sia per i ricercatori che per tutti i cittadini.Il nuovo Centro nazionale per la biodiversità (National Biodiversity Future Center, NBFC) finanziato dal PNRR (Piano nazionale ripresa e resilienza) prevede esplicitamente anche strategie di citizen science. Per il futuro, l’ambizione è arrivare a un Centro nazionale per la citizen science, seguendo la stessa strada di altri paesi europei dove, per esempio, esistono già fondi di ricerca destinati a chi usa questo strumento. Un altro motivo per coordinarsi, spiega la ricercatrice, è fare in modo che le esperienze di citizen science siano condotte in maniera rigorosa, soprattutto dal punto di vista della partecipazione dei cittadini. Se la citizen science è popolare è un bene, ma bisogna evitare che diventi solo un’etichetta “alla moda”, e fare in modo che duri nel tempo.
Il nostro modello è l’Associazione europea di citizen science (ECSA), che ha elaborato un decalogo di principi che riteniamo fondamentali per qualunque progetto.Il primo principio del decalogo recita:
I progetti di Citizen science coinvolgono attivamente i cittadini in attività scientifiche che generano nuova conoscenza o comprensione. I cittadini possono agire come contributori, collaboratori o responsabili di progetto e ricoprono un ruolo significativo nel progetto.
Pubblicato originariamente su Aula di scienze Zanichelli il 4 maggio 2023
![Alla scoperta della citizen science 5 Stefano Dalla Casa](https://pikaia.eu/wp-content/wphb-cache/gravatar/a3c/a3c2eda9b0265c1bc2cff5ec210fb05ex100.jpg)
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo o ho scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Curo la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collaboro dalla fondazione con Pikaia, dal 2021 ne sono caporedattore.