Batteri che aiutano a superare il letargo
Scoiattoli di terra nordamericani durante il letargo sono in grado di riciclare il loro azoto tramite batteri del microbioma e mantenere così la loro massa corporea al risveglio
Il letargo è uno stato di attività minima e di riduzione dei processi metabolici (fino all’1% del livello estivo), accompagnati da riduzione della temperatura corporea, della respirazione e del battito cardiaco che viene adottato da alcuni animali quali marmotte, tassi, procioni, pipistrelli, tartarughe di terra. Durante il letargo – che avviene normalmente durante la stagione fredda – gli animali consumano riserve energetiche accumulate nei mesi precedenti, e dunque qui si pone il problema di metter da parte molte risorse durante la bella stagione e gestirle al meglio in inverno.
È – ovviamente – un adattamento alla scarsità di cibo durante l’inverno: riducendo il metabolismo in modo considerevole si ottiene un notevole risparmio energetico. Ma gli animali si trovano ad affrontare anche una carenza di proteine, che servono per il mantenimento delle strutture corporee, in particolare i muscoli, eppure alla ripresa delle attività risultano simili a quelli dell’anno precedente. Come è possibile mantenere una muscolatura efficiente senza mangiare?
Questo tema di ricerca è stato affrontato da un gruppo di ricerca dell’Università di Madison (Wisconsin, USA) che ha pubblicato i risultati della ricerca di recente su Science.
I ricercatori hanno lavorato sull’urea, un composto tossico per i mammiferi al di sopra di una certa concentrazione, che contiene due molecole di azoto, una di carbonio e quattro di idrogeno. È il prodotto finale del metabolismo delle sostanze contenenti azoto, dunque in primo luogo le proteine, e viene in larga parte eliminato dai reni con l’urina. Ma una parte dell’urea che circola col sangue va a finire nell’intestino, trasportata attraverso la parete da appositi enzimi chiamati trasportatori epiteliali dell’urea o Epithelial urea transporters (UT-Bs).
E nell’intestino l’urea incontra la flora microbica del microbioma che, contrariamente a quanto avviene nel corpo dei mammiferi, è in grado di digerire l’urea attraverso un enzima, l’ureasi, che è la scinde in anidride carbonica e ammoniaca. Questo enzima non viene prodotto dai mammiferi, che dunque ancora una volta “stringono un patto” con i loro ospiti batterici.
Dunque i ricercatori si sono chiesti se quel processo di riciclo dell’azoto potesse avvenire anche nei mammiferi ibernanti. E l’hanno dimostrato in modo brillante applicando un metodo noto da tempo. Hanno iniettato negli scoiattoli da esperimento delle molecole di urea nelle quali l’azoto era stato sostituito con una forma più pesante della molecola, un isotopo che permetteva di distinguere l’urea iniettata da quella prodotta normalmente dall’organismo. Questa tecnica ha permesso loro di “seguire” le molecole di urea (e quelle dell’ammoniaca da essa derivate) durante il loro viaggio nell’organismo, attraverso l’epitelio intestinale, nei microbi residenti nell’intestino, e finalmente nelle proteine dello scoiattolo. Quando le proteine, ad esempio dei muscoli, risultavano “marcate” voleva dire che le loro componenti azotate erano “passate attraverso” il lavoro digestivo dell’ureasi da parte dei batteri.
L’incorporazione dell’azoto “marcato” era due-tre volte più importante quando era misurata nel tardo inverno (più vicino al risveglio) che in estate (più lontani dal digiuno), e ciò indica quanto sia rilevante il riciclo dell’azoto nell’ultimo periodo di digiuno per la ricostruzione della massa muscolare in vista del risveglio primaverile.
Questa interpretazione è stata suffragata nel modo più semplice, ossia privando gli scoiattoli dei loro batteri intestinali mediante antibiotici. In questo caso pochissimo azoto poteva essere riciclato.
“… perdite della massa muscolare colpiscono centinaia di milioni di persone a causa di una limitata assunzione di sostanze azotate e [conseguente] sarcopenia, e vi sono prove che gli umani posseggono i meccanismi per il recupero dell’azoto dall’urea. La comprensione dei meccanismi attraverso i quali gli animali ibernanti mantengono il bilancio delle proteine e mitigano la perdita muscolare in regime di severa limitazione dell’azoto può contribuire a formulare strategie per la conservazione dei muscoli nell’uomo”
Riferimenti:
M. D. Regan, E. Chiang, Y. Liu, M. Tonelli, K. M. Verdoorn, S. R. Gugel, G. Suen, H. V. Carey, F. M. Assadi-Porter Nitrogen recycling via gut symbionts increases in ground squirrels over the hibernation season. Science, 375 (6579): 460-463, 2022 doi: 10.1126/science.abh2950.
Immagine: John James Audubon: Lithographer: John T. Bowen – Minneapolis Institute of Art, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=74270247
È – ovviamente – un adattamento alla scarsità di cibo durante l’inverno: riducendo il metabolismo in modo considerevole si ottiene un notevole risparmio energetico. Ma gli animali si trovano ad affrontare anche una carenza di proteine, che servono per il mantenimento delle strutture corporee, in particolare i muscoli, eppure alla ripresa delle attività risultano simili a quelli dell’anno precedente. Come è possibile mantenere una muscolatura efficiente senza mangiare?
Questo tema di ricerca è stato affrontato da un gruppo di ricerca dell’Università di Madison (Wisconsin, USA) che ha pubblicato i risultati della ricerca di recente su Science.
Riciclare l’azoto col microbioma
Il modello sperimentale è stato una specie di scoiattolo di terra largamente distribuito nelle praterie del Nord America, Ictidomys tridecemlineatus (il nome è dovuto a 13 linee chiare di pelo che decorano la schiena di questi animaletti). Dopo aver speso tutta l’ultima parte della bella stagione ingozzandosi di cibo, gli scoiattoli entrano in ibernazione per circa sei mesi nelle loro tane sotterranee, durante la stagione fredda, in uno stato di torpore, senza mangiare né bere.I ricercatori hanno lavorato sull’urea, un composto tossico per i mammiferi al di sopra di una certa concentrazione, che contiene due molecole di azoto, una di carbonio e quattro di idrogeno. È il prodotto finale del metabolismo delle sostanze contenenti azoto, dunque in primo luogo le proteine, e viene in larga parte eliminato dai reni con l’urina. Ma una parte dell’urea che circola col sangue va a finire nell’intestino, trasportata attraverso la parete da appositi enzimi chiamati trasportatori epiteliali dell’urea o Epithelial urea transporters (UT-Bs).
E nell’intestino l’urea incontra la flora microbica del microbioma che, contrariamente a quanto avviene nel corpo dei mammiferi, è in grado di digerire l’urea attraverso un enzima, l’ureasi, che è la scinde in anidride carbonica e ammoniaca. Questo enzima non viene prodotto dai mammiferi, che dunque ancora una volta “stringono un patto” con i loro ospiti batterici.
Dall’urea alle proteine
I batteri, naturalmente, usano questa preziosa fonte di azoto per produrre le loro proteine, ma una parte dei prodotti del metabolismo dell’urea può essere riassorbita ed entrare in circolo, per essere usata dagli scoiattoli nella produzione di nuovi amminoacidi e proteine. Questo processo, noto come “recupero dell’azoto” non è una scoperta di questa ricerca: avviene anche nei ruminanti (ad esempio nei bovini e nei cammelli) quando sono in carenza di proteine, come avviene durante la gravidanza.Dunque i ricercatori si sono chiesti se quel processo di riciclo dell’azoto potesse avvenire anche nei mammiferi ibernanti. E l’hanno dimostrato in modo brillante applicando un metodo noto da tempo. Hanno iniettato negli scoiattoli da esperimento delle molecole di urea nelle quali l’azoto era stato sostituito con una forma più pesante della molecola, un isotopo che permetteva di distinguere l’urea iniettata da quella prodotta normalmente dall’organismo. Questa tecnica ha permesso loro di “seguire” le molecole di urea (e quelle dell’ammoniaca da essa derivate) durante il loro viaggio nell’organismo, attraverso l’epitelio intestinale, nei microbi residenti nell’intestino, e finalmente nelle proteine dello scoiattolo. Quando le proteine, ad esempio dei muscoli, risultavano “marcate” voleva dire che le loro componenti azotate erano “passate attraverso” il lavoro digestivo dell’ureasi da parte dei batteri.
L’incorporazione dell’azoto “marcato” era due-tre volte più importante quando era misurata nel tardo inverno (più vicino al risveglio) che in estate (più lontani dal digiuno), e ciò indica quanto sia rilevante il riciclo dell’azoto nell’ultimo periodo di digiuno per la ricostruzione della massa muscolare in vista del risveglio primaverile.
Questa interpretazione è stata suffragata nel modo più semplice, ossia privando gli scoiattoli dei loro batteri intestinali mediante antibiotici. In questo caso pochissimo azoto poteva essere riciclato.
Possibili applicazioni mediche?
I risultati di questa ricerca sono affascinanti di per sé, perché aiutano a far luce su uno dei misteri del letargo, ma i ricercatori li hanno anche “autopromossi”, come si usa fare generalmente, proponendo in un articolo per The Conversation una ipotetica applicazione pratica per la salute umana:“… perdite della massa muscolare colpiscono centinaia di milioni di persone a causa di una limitata assunzione di sostanze azotate e [conseguente] sarcopenia, e vi sono prove che gli umani posseggono i meccanismi per il recupero dell’azoto dall’urea. La comprensione dei meccanismi attraverso i quali gli animali ibernanti mantengono il bilancio delle proteine e mitigano la perdita muscolare in regime di severa limitazione dell’azoto può contribuire a formulare strategie per la conservazione dei muscoli nell’uomo”
Riferimenti:
M. D. Regan, E. Chiang, Y. Liu, M. Tonelli, K. M. Verdoorn, S. R. Gugel, G. Suen, H. V. Carey, F. M. Assadi-Porter Nitrogen recycling via gut symbionts increases in ground squirrels over the hibernation season. Science, 375 (6579): 460-463, 2022 doi: 10.1126/science.abh2950.
Immagine: John James Audubon: Lithographer: John T. Bowen – Minneapolis Institute of Art, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=74270247
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università