Biodiversità, istruzione, ricerca, musei accademici e società tutta

You me we can

Per la rubrica “L’evoluzione non ha genere” abbiamo intervistato la prof.ssa Sabrina Lo Brutto dell’Università degli Studi di Palermo. Tra i temi toccati: la tassonomia, i musei accademici di storia naturale, la biodiversità in Italia, l’Agenda 2030.

Cos’è il nuovo National Biodiversity Future Center? Possiamo valutare lo stato di salute della biodiversità in Italia? Per l’evoluzione non ha genere, di questo e molto altro ne abbiamo parlato con la professoressa Sabrina Lo Brutto dell’Università di Palermo. Lo Brutto svolge attività di ricerca finalizzata allo studio della filogeografia e della genetica di popolazione di specie animali marine e terrestri. Inoltre, si interessa anche alla tassonomia, ossia il ramo delle scienze biologiche che si occupa dello studio della classificazione e identificazione degli esseri viventi e fossili.  

L’avanzamento scientifico e tecnologico permette di conoscere sempre più e meglio le specie di organismi viventi presenti sulla Terra. La tassonomia agevola lo studio degli esseri viventi, moderni ed estinti, mediante la classificazione. Ma, come tutte le discipline, necessita di un aggiornamento continuo.

Sì, esatto, anche la tassonomia necessita di un aggiornamento continuo da parte delle ricercatrici e dei ricercatori, dal punto di vista metodologico e nel merito degli schemi classificatori, cioè quegli insiemi che contengono in maniera gerarchica i gruppi animali. Tutto ciò può non bastare in questo periodo storico nel quale si assiste a perdita di biodiversità. È necessario che la ricerca tassonomica venga supportata adeguatamente dal punto di vista economico e che i giovani si avvicinino con maggiore entusiasmo a questo ramo della biologia. Recentemente, si è svolto a Palermo il Congresso Nazionale dell’Unione Zoologica Italiana e si è discusso, a più riprese, del fatto che mancano tassonomi, studiose e studiosi capaci di riconoscere gli animali. Il congresso è stato una preziosa occasione per confrontarsi su aspetti fondamentali della biologia animale, ma anche sul ruolo che gli zoologi possono svolgere nella società. Mi preme però sottolineare alcuni aspetti: prima di tutto bisognerebbe investire di più nella formazione, anche in fase scolastica; in secondo luogo, c’è bisogno di modificare il sistema di valutazione della produzione scientifica perché, spesso, non ci si dedica sufficientemente alla tassonomia in quanto essa produce articoli su riviste a basso impact factor (L’impact factor, IF, è un indicatore della performance dei periodici scientifici, che esprime l’impatto di una pubblicazione sulla comunità scientifica di riferimento, NdA). Infine, c’è il problema di trasferimento del know-how: in Italia siamo sempre stati all’avanguardia in ambito tassonomico e, infatti, vi sono specialisti di diversi taxa (taxon, al singolare. Nelle scienze naturali, indicano le categorie sistematiche corrispondenti a entità, raggruppamenti ordinati degli esseri viventi, NdA), ma queste figure non stanno trasferendo le loro conoscenze.

La tassonomia moderna non si occupa solo di regole nomenclaturali, ma comprende anche le tecniche per lo studio teorico della classificazione filogenetica dei viventi, attraverso la definizione di principi, procedure e norme che la regolano. Essa richiede banche dati internazionali continuamente aggiornate e la pronta condivisione delle novità tassonomiche da parte della comunità scientifica. Come risolvere le difficoltà? 

Sicuramente con le collaborazioni. L’Accademia Nazionale Italiana di Entomologia e l’Unione Zoologica Italiana promuovono il Comitato Italiano per la fauna d’Italia, che ha prodotto un ventennio fa una check-list della fauna d’Italia, ossia l’elenco di tutte le specie animali presenti nel territorio nazionale. Questa richiede, oggi, un aggiornamento e un’attenta revisione delle specie presenti in Italia. Alcuni gruppi tassonomici possono contare su un gran numero di specialisti, ma ci sono gruppi animali che non hanno più competenze adeguate per la revisione delle rispettive check-list 

La tassonomia, oltre ad essere basata su criteri essenzialmente morfologici (caratteri fenotipici degli organismi viventi) e morfometrici (differenze tra le forme biologiche), oggi si avvale anche di metodi e valutazioni di natura molecolare, fisiologica e sierologica, di indagini delle abitudini etologiche ed ecologiche delle specie, combinate ad avanzate tecniche di analisi statistica. 

La rivoluzione delle tecniche biomolecolari e delle analisi genetiche ha cambiato l’approccio alla tassonomia. Trent’anni fa, iniziò ad essere più interessante condurre analisi genetiche invece di fare tassonomia tradizionale attraverso il riconoscimento morfologico. Tuttavia, un tassonomo ha bisogno di tanto tempo per diventare un bravo specialista, necessita vedere tanti esemplari, dedicare tempo al riconoscimento, in modo da acquisire una capacità di identificazione (quasi) automatica dei caratteri diagnostici, ovviamente per un determinato gruppo. È anche importante diventare conoscitori di un’area geografica perché un ambito di applicazione cruciale è la conservazione.   Le competenze di un tassonomo sono state certamente arricchite dalla genetica e dalla biologia molecolare, ma queste hanno anche messo in discussione alcuni schemi di classificazione. Prima, per esempio, per le specie criptiche (o specie complex, caratterizzate dall’essere molto simili fra loro, addirittura non distinguibili attraverso caratteri diagnostici, NdA) si aveva difficoltà a definire l’identità tassonomica, mentre con l’analisi del DNA si sono risolte molte questioni poche chiare, che non si sarebbero potute risolvere osservando solo i caratteri morfo-anatomici. 

 Le rivoluzioni non sono finite, vero? 

No. La novità del momento riguarda l’analisi del DNA ambientale. Le attuali metodiche molecolari ci permettono di isolare da un piccolo campione d’acqua o terreno il materiale genetico utile per studiare la biodiversità di un dato luogo. Questo DNA disperso nell’ambiente deriva dalla desquamazione delle cellule della cute o dai liquidi biologici, nonché dal corpo degli animali dopo la morte. La nuova metodica è efficiente e consente, partendo da un campione ambientale, di trovare DNA di specie elusive e addirittura contemporaneamente di specie di taxa diversi. Quando si hanno risultati positivi, si può ipotizzare che quelle specie di cui si è trovato il DNA possano trovarsi in quell’area geografica, anche senza averle mai viste e campionate. Creare una lista faunistica o floristica delle specie che hanno lasciato frammenti di DNA nell’ambiente diventa uno strumento innovativo di monitoraggio. Il limite della metodologia consiste nel fatto che questo DNA ricavato dall’ambiente lo si associa ad una specie solo se in una banca dati c’è un riscontro, un controllo. Quindi, a monte, c’è sempre bisogno di un tassonomo e di database corretti. Mi spiego meglio: talvolta, nei più importanti database di sequenze nucleotidiche, si è visto che il DNA sequenziato da un gruppo di ricerca e associato ad una specie risultava errato perché l’identificazione tassonomica era stata condotta male. Quello che manca nella tassonomia integrata, cioè l’unione della tassonomia tradizionale e delle analisi molecolari, è la validazione. Sarebbe necessario avere anche raccolte di campioni, per esempio tessuti, che rappresentino materiale di riferimento. Per fortuna, un progetto che supporta questi temi, di cui faccio parte, è stato finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).  

In occasione della scorsa Giornata mondiale della biodiversità è stato istituito e finanziato dal PNRR il National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro di ricerca italiano dedicato alla biodiversità, che sarà coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). 

Il National Biodiversity Future Center ha il compito di conservare, ripristinare, monitorare e valorizzare la biodiversità italiana e mediterranea. E di farne anche veicolo per l’economia green. Il Centro è uno dei cinque centri nazionali dedicati alla ricerca di frontiera che coinvolge istituzioni e imprese in tutta Italia. Promosso dal CNR insieme a 49 partner, tra università, centri di ricerca, fondazioni e imprese. Il Centro è stato ideato seguendo il modello Hub & Spoke: dall’hub centrale, con sede presso l’Università degli Studi di Palermo, si dipartono 8 raggi (spoke) dedicati alle problematiche legate al mare, agli ecosistemi terrestri, alle aree urbane e al coinvolgimento della società civile. L’approccio multidisciplinare mira a individuare strategie efficaci per ridurre la pressione antropica su ecosistemi, specie e popolazioni. Ciò sarà possibile anche sviluppando biobanche e favorendo la creazione di ulteriori aree protette. Il Centro affronta, inoltre, tematiche emergenti strettamente connesse al benessere della persona come la forestazione e la rigenerazione urbana e l’individuazione di soluzioni in grado di mitigare l’inquinamento, le calamità ambientali e il riscaldamento globale. 

 Lei di quale spoke fa parte? 

Personalmente coordino il gruppo palermitano che afferisce allo Spoke n. 7Biodiversity and society: communication, education and social impact (Biodiversità e società: comunicazione, istruzione e impatto sociale), dedicato a comunicazione, istruzione, impatto sociale e musei naturalistici. Lo Spoke n. 7 è coordinato su scala nazionale da Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Scienze biologiche dell’Università di Padova, e da Isabella Saggio, professoressa di Terapia Genetica all’Università La Sapienza di Roma. Gli obiettivi principali sono: ripensare la comunicazione scientifica sui temi della biodiversità; sviluppare nella società una consapevolezza diffusa su temi scientifici; valorizzare l’importanza della biodiversità all’interno della pubblica amministrazione e del mondo aziendale; promuovere la salute globale; e, non meno importante, digitalizzare le collezioni dei musei italiani di storia naturale. 

 I suoi interessi sono stati e sono tutt’oggi vari e molteplici… 

In passato ho lavorato nel campo della genetica di popolazione (della variabilità all’interno e tra le specie) e della distribuzione della biodiversità genetica attraverso analisi molecolari; adesso, sto lavorando come specialista di crostacei anfipodi (Gli Anfipodi sono crostacei che si diversificano dal punto di vista ecologico e biologico, costituendo uno dei gruppi dominanti in habitat marini bentonici, NdA), occupandomi di tassonomia e aggiornamento delle conoscenze su specie aliene invasive e su specie endemiche. Un obiettivo è quello di aggiornare la checklist delle specie presenti nei mari italiani.Negli ultimi 6 anni ho dedicato tempo ed energie alla divulgazione scientifica e alla museologia. Infatti, ho avuto l’onore di dirigere il Museo di Zoologia “Pietro Doderlein” del Sistema Museale dell’Università di Palermo. Mi sono occupata di organizzare eventi, promuovere il museo, avviare collaborazioni e fare ricerca museale.

Vorrei soffermarmi sugli anni in cui ha diretto il Museo di Zoologia “Pietro Doderlein”. Sotto la sua direzione, il Museo è stato protagonista della conversione di una carcassa di un cetaceo spiaggiato in una risorsa educativa. Potrebbe parlarcene? 

Nel 2021 il Museo di Zoologia “Pietro Doderlein” del Sistema Museale dell’Università di Palermo, grazie alla collaborazione con il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia (IZS), recuperò uno scheletro completo di una stenella striata, (Stenella coeruleoalba), un delfino che abita il Mar Mediterraneo, spiaggiata nel 2018 a Marinella di Selinunte, Castelvetrano (TP). In quell’occasione, la carcassa di un cetaceo spiaggiato non fu trattata come rifiuto speciale, con costi elevati per il trasporto e lo smaltimento, ma come bene naturalistico. Fu una scelta di buone prassi. I tristi eventi di spiaggiamento potrebbero rappresentare un’opportunità per i musei scientifici, specialmente nel mio territorio siciliano per valorizzare una regione a forte vocazione turistica, ma anche per implementare la ricerca scientifica museale e la collaborazione tra diverse figure professionali. In Sicilia il Museo di Comiso ne è un brillante esempio. 

I musei accademici conservano e gestiscono il patrimonio culturale delle Università. L’offerta museale dell’Università di Palermo è molto vasta e, mediante percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO), è stato possibile promuovere nelle scuole il valore e l’interesse per il patrimonio culturale delle Università. Un’alleanza mediale tra scienza, istruzione e musei universitari potrebbe fare da volano ad una maggiore scientific literacy e allo sviluppo di un territorio? 

I musei universitari si stanno aprendo sempre di più a un’ampia gamma di attività rivolte alla società, in particolare al sistema educativo. Rientrano tra queste anche i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Di fatto, i musei accademici hanno potenzialità maggiori rispetto i musei civici: per esempio, potrebbero sensibilizzare e implementare la consapevolezza su temi ambientali in maniera multidisciplinare e agganciare più facilmente le scuole di ogni ordine e grado. Il periodo storico che stiamo vivendo è ricco di opportunità per i musei e, secondo un approccio detto “One Health”, vedo anche potenzialità nello sviluppo di nuove figure professionali capaci di affrontare le sfide contemporanee (green job) da perseguire per il benessere della nostra società.   Il mondo della ricerca, a tratti, sembra si esuli dal mondo del lavoro più tradizionale, a mio parere. La scuola, figura imprescindibile della società civile, è indebolita, ma mantiene il suo ruolo di formazione ed educazione, non sempre supportato e riconosciuto. Ecco, i musei potrebbero essere un ponte tra il sapere scientifico e la società civile. I musei, accademici e non, necessitano di attenzione, di fondi e di gestione con politiche lungimiranti. All’estero, molti musei sono fonte di guadagno e spesso costituiscono un volano per la città che li ospita. Se ci fossero adeguate risorse, una pianificazione a lungo termine, un adeguato reclutamento di figure professionali diversificate, i musei di storia naturali sarebbero alla pari degli altri musei nello sviluppo di un territorio. 

Alcuni musei di storia naturale sono importanti per aumentare la conoscenza scientifica, sviluppare la capacità di ricerca e di trasmissione delle conoscenze marine al fine di migliorare la salute degli ambienti acquatici. Questi sono alcuni strumenti per conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile (obiettivo 14 dell’Agenda 2030). Qual è lo stato di salute della biodiversità marina in Italia? 

La percentuale di territorio italiano protetto è limitata. Noi scienziati parliamo spesso di biodiversità, ma sarebbe più corretto parlare di sviluppo sostenibile. L’obiettivo deve essere duplice, proteggere il territorio e garantirne lo sviluppo. L’istituzione delle aree protette è stata una strategia vincente: è riuscita a tutelare ciò che era possibile tutelare. Attraverso l’estesa rete nazionale di università, centri di ricerca, associazioni e altri soggetti privati e sociali, il National Biodiversity Future Center contribuirà a perseguire l’obiettivo del 30% di territorio italiano protetto, come chiede l’Unione Europea.   Io immagino i temi di cui abbiamo parlato oggi come un cerchio che passa da biodiversità e sua protezione, sviluppo sostenibile e società tutta, ritornando su tutte queste finalità in maniera alternata e in tempi diversi. Non è certo una traiettoria lineare. Infatti, anche se riuscissimo a ottenere la copertura del 30% di territorio protetto, ma non avessimo attenzione ad uno stile di vita sostenibile, quale sarebbe l’efficacia delle azioni di conservazione?  La tutela della biodiversità deve avere una visione globale, non puntiforme o settoriale. Infine, ritornando alla domanda “qual è lo stato di salute della biodiversità marina in Italia?” le dico “Sta cambiando, si sta modificando”. Abbiamo tanti dati e informazioni, e ne avremo ancora di più. Aspettiamo i risultati che si otterranno nei prossimi tre anni dal NBFC e rivediamoci. Scopriremo che la Natura ci avrà sorpreso, come sempre. 

  Approfondimenti: 

  • Lo Brutto, S. Zoological Checklists: From Natural History Museums to Ecosystems. Diversity 2023, 15, 741. https://doi.org/10.3390/d15060741 
  • Cilli, E.; Fontani, F.; Ciucani, M.M.; Pizzuto, M.; Di Benedetto, P.; De Fanti, S.; Mignani, T.; Bini, C.; Iacovera, R.; Pelotti, S.; et al. Museomics Provides Insights into Conservation and Education: The Instance of an African Lion Specimen from the Museum of Zoology “Pietro Doderlein”. Diversity 2023, 15, 87. https://doi.org/10.3390/d15010087 
  • Lo Brutto, S.; Badalucco, A.; Iacovera, R.; Cilli, E.; Sarà, M. Checklist of the Mammal Collection Preserved at the University of Palermo under the Framework of the National Biodiversity Future Center. Diversity 2023, 15, 518. https://doi.org/10.3390/d15040518 
  • Lo Brutto S, Iaciofano D (2018) A taxonomic revision helps to clarify differences between the Atlantic invasive Ptilohyale littoralis and the Mediterranean endemic Parhyale plumicornis (Crustacea, Amphipoda). ZooKeys 754: 47-62. https://doi.org/10.3897/zookeys.754.22884