L’avventura umana e intellettuale di un rivoluzionario riluttante

In occasione del Darwin Day 2025 pubblichiamo un testo di Telmo Pievani realizzato per il programma di sala del Piccolo Teatro, dove è in scena lo spettacolo “Darwin, Nevada”.
Il testo è stato realizzato per il programma di sala del Piccolo Teatro di Milano (© Edizioni Piccolo Teatro) dedicato allo spettacolo “Darwin, Nevada” un progetto di Marco Paolini con la regia di Matthew Lenton, da un’idea di Niles Eldredge, James Moore, Francesco Niccolini, Marco Paolini, Telmo Pievani, Michela Signori. Drammaturgia Marco Paolini con la collaborazione di Francesco Niccolini e Telmo Pievani; dramaturg Teresa Vila; scene e costumi Emma Bailey; luci Kai Fischer; sound design Mark Melville; consulenza scientifica Niles Eldredge, James Moore; assistente alla regia Virginia Landi. Con Marco Paolini con Clara Bortolotti, Cecilia Fabris, Stefano Moretti, Stella Piccioni. Una coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Vanishing Point, Jolefilm. In collaborazione con La Fabbrica del Mondo.
Era nato lo stesso giorno di Abraham Lincoln, il 12 febbraio del 1809, dall’intreccio di due famiglie fuori dall’ordinario. Suo nonno dal lato paterno, Erasmus, era uno spirito mordace, illuminista, ammiratore delle rivoluzioni francese e americana, inventore, medico personale di re Giorgio III, e proto-evoluzionista. Mary Shelley aveva appena finito di leggere un suo libro, la Zoonomia, quando scrisse Frankenstein. Sul lato materno, i grandi industriali della ceramica, i Wedgwood, pragmatici e devoti, ottimisti e liberali, avanguardie intellettuali di una borghesia in ascesa. Finanziavano Samuel Taylor Coleridge affinché potesse concentrarsi solo sulla scrittura.
Tutti insieme frequentavano la Lunar Society, i cui membri si facevano chiamare «lunatici» e pianificavano gli incontri mensili in modo da poter tornare a casa sotto la luna piena. James Watt ne faceva parte, Benjamin Franklin ci bazzicava. In tale contesto, Charles Darwin fu mandato dal padre, illustre medico esperto di malattie mentali, a Edimburgo, a studiare medicina nell’Atene del Nord. Non andò bene, ma il ragazzo cominciò a respirare idee di trasformazione delle specie e divorò i libri di David Hume. Fece amicizia con uno schiavo liberato, John Edmonton, che gli insegnò a preparare gli animali per i musei.
Spedito per delusione a Cambridge a studiare per la carriera ecclesiastica, finirà per dormire proprio nella stanza al Christ College che era stata di William Paley, il padre della teologia naturale, senza ancora sapere che sarà proprio lui a distruggerla. Prese voti scarsi, ma si appassionò di botanica e geologia, finché per puro caso ricevette l’invito a prender parte alla nuova spedizione del brigantino di Sua Maestà, il Beagle.
Il padre gli vaticinò che non avrebbe combinato nulla di buono nella vita, ma lo lasciò andare. Al capitano Robert FitzRoy non piacque il suo naso, che secondo la pseudoscienza fisiognomica era quello a patata di uno che non combinerà nulla nella vita (e due…), ma lo prese con sé come gentiluomo di compagnia.
Ne conseguirono cinque anni di mal di mare, delizie naturalistiche, escursioni a cavallo in Sudamerica, osservazioni geologiche, scoperte di fossili di bestie estinte, strani esperimenti antropologici con i nativi Yámana della Terra del Fuoco, intuizioni sul ruolo delle isole nel diversificare le specie. Andrebbero tutte studiate a tappeto le isole del mondo – scriverà Darwin, pochi mesi prima di morire, al giovane Francisco de Arruda Furtado alle Azzorre – perché sono il paradigma dell’evoluzione, laboratori di cambiamento a cielo aperto. Per cena mangiò alcune prove fondamentali dell’evoluzione, tartarughe e nandù. Durante la circumnavigazione del globo spedì in Inghilterra esemplari di oltre 1500 specie diverse, centinaia delle quali del tutto sconosciute in Europa, e al suo rientro diventerà una celebrità per questa impresa di viaggiatore naturalista. Nessuna cassa andò perduta. Il merito della teoria dell’evoluzione è anche delle poste britanniche.
Sognava di diventare il nuovo Alexander von Humboldt, esploratore del Sudamerica prima di lui. Tornò in patria il 2 ottobre del 1836 e scrisse un Diario di viaggio che sarà bestseller. Scoprì il meccanismo di formazione degli atolli corallini e divenne un geologo apprezzato. Fece analizzare i suoi reperti dai massimi esperti dell’epoca: capì e tacque.
Qui nella storia inizia un secondo viaggio, tutto mentale, in contumacia. Mentre fa una brillante carriera ufficiale nella scienza inglese, Darwin, non ancora trentenne, inizia a scrivere alcuni Taccuini segreti, ignoti anche alla moglie Emma, nei quali in meno di cinque anni, annotando pensieri e connessioni di giorno in giorno, costruisce l’architettura completa della teoria evoluzionistica: la discendenza con modificazioni, l’albero della vita, la lotta per la sopravvivenza, la selezione naturale, la speciazione e l’estinzione. Una rivoluzione scientifica in diretta, vista dall’interno.
Fino al 1859 esisteranno due Darwin: uno pubblico, che studia certi crostacei bizzarri chiamati cirripedi, vince la medaglia d’oro della Royal Society e frequenta i salotti buoni di Charles Babbage, l’enciclopedico matematico precursore delle macchine calcolatrici; e uno privato, che sforna eretiche idee materialistiche. Siamo tutti parenti, anche di scimmie e lombrichi, e tutti imperfetti. Tutti legati in un’unica rete. Non c’è un disegno. Il creazionismo non spiega nulla. Il male del mondo, come quando gli muore di tubercolosi una figlia adorata, non ha alcun senso. C’è di che rivoltare l’intera metafisica.
Ma Darwin non ha paura della Chiesa anglicana, provenendo da quelle due famiglie di liberi pensatori. Ha paura piuttosto dei suoi colleghi e di finire sulla graticola come quei divulgatori dilettanti che già pubblicavano libri sull’evoluzione, senza averne capito il meccanismo. Nel 1844 scrive all’amico botanico Joseph Hooker, medico di bordo nella spedizione antartica del capitano Ross, che pubblicare i Taccuini della Trasmutazione sarebbe per lui come confessare un delitto.
Furono vent’anni di reticenza. Darwin, l’evoluzionista riluttante, diede disposizione di pubblicare le sue idee solo postume e lasciò alla moglie una lettera struggente. Ma non avrebbe deciso lui. Nel 1856 iniziò una corrispondenza con un naturalista più giovane in viaggio nelle isole delle spezie, Alfred Russel Wallace, e sospettò che stesse arrivando alle sue stesse conclusioni. La conferma gli arrivò nel giugno 1858, quando Wallace gli spedì un sunto della sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale, uno dei più clamorosi esempi di percorso parallelo di scoperta nella scienza. Darwin si fece prendere dal panico e solo l’intervento del suo mentore, il geologo Charles Lyell, lo indusse ad annunciare congiuntamente e finalmente le sue idee in seduta pubblica, il primo luglio 1858, alla Linnean Society.
Gli autori, Wallace e Darwin, entrambi assenti. Il primo lontano, nell’arcipelago malese. Il secondo a casa in lutto per la perdita dell’ultimogenito Charles Waring. Prima che decidesse di riparare sull’isola di Wight, gli riferirono che la reazione alla lettura dell’incartamento era stata di tiepida indifferenza. Complice anche la Grande Puzza di Londra dell’estate del 1858 causata dai liquami stagnanti nel Tamigi, fra la trentina di presenti nessuno in sostanza si accorse della rivoluzione.
Darwin si dichiarò soddisfatto comunque. Non era un cuor di leone. Meglio così, ci sarà tempo per scrivere una sintesi della sua opera. In 13 mesi nascerà uno dei riassunti più famosi della storia: L’origine delle specie per selezione naturale, uscita il 24 novembre del 1859 per i tipi dell’editore londinese delle guide turistiche John Murray. Il resto è storia nota, quella del Darwin vecchio con la lunga e triste barba bianca appoggiato alla sua veranda a Down House.
Ma il bello era successo prima. E succederà anche dopo. Darwin lasciò detto al figlio Francis di non includere mai quei Taccuini giovanili nella sua opera: ripubblicate tutto, anche le mie 18000 lettere, ma non quelli. Nothing for any purpose, vergò sul retro. Obbedirono per due generazioni, poi una nipote, Nora Barlow, li tirò fuori dal cassetto. Ci vollero anni per decifrarli, per capirne il valore eccezionale e metterli nella Cambridge Library. La prima edizione critica dei Taccuini è del 1987. Intorno al 2000, in occasione di alcuni lavori alla biblioteca, senza che poi nessuno se ne accorgesse per anni, due taccuini furono rubati. Nei giorni di Pasqua del 2022 una mano misteriosa e burlona li ha avvolti in una busta rosa e li ha lasciati davanti alla porta con un biglietto: «Librarian, Happy Easter».
A Charles Darwin naturalmente sono state dedicate specie, montagne e città. In California, nella contea di Inyo, vicino alla Dead Valley, un villaggio oggi pressoché abbandonato si chiama “Darwin”. Così era battezzato, chissà perché, un ranger locale. Se ne sta in fondo a una strada senza uscita, nel deserto del Mojave, al confine con il Nevada, circondato dalla terra di nessuno di una base militare americana. Oggi abitato da qualche artista hyppie – tra roulotte, una Darwin Station e una Darwin Dance Hall desolate, un Post Office, rottami ed edifici fantasma – è un vecchio insediamento minerario in disuso. Cercavano argento e piombo, nell’Ottocento. Internet è arrivato dieci anni fa.
Si sente solo il vento, che fischia sopra i pozzi. L’evoluzione culturale, sociale e tecnologica non è una freccia che tira dritto verso il futuro. Come quella biologica, del resto. Sembra il villaggio alla fine del mondo e la connessione al nome di Darwin non può che sprigionare scintille teatrali. Chissà se quelle anime perdute sanno chi era il Darwin che ha dato il nome alla loro fuga dalla civiltà. Fra reazionari, radicali dissenzienti, socialisti e borghesia in avanzamento, visse anche lui in un’epoca turbolenta, rimanendo imperturbabilmente un liberale illuminato e paternalista, attento ai suoi investimenti terrieri e alle azioni dei canali e delle ferrovie inglesi, ma anche legato alla cultura delle workhouses e dell’assistenza ai poveri. Cominciò – ricco di famiglia e con una buona reputazione di geologo tutta da perdere – una rivoluzione scientifica che non è ancora finita. Fu così onesto e convincente nelle sue osservazioni e argomentazioni che ancora oggi in molti faticano ad accettarne le conseguenze. Non però la Corona inglese, che seppellì con tutti gli onori il suo agnostico compatriota nell’abbazia di Westminster, a pochi passi da Isaac Newton, in un tempio che altre confessioni religiose non gli avrebbero concesso.
La strada tortuosa che portò alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale e all’abbandono delle teologie naturali non fu una storia di idee astratte e di aride contese accademiche: assomiglia piuttosto alla striscia di asfalto per Darwin, Nevada.
Arrivi in fondo e ti accorgi che è sempre tutto da rifare. La sua fu l’avventura umana e intellettuale di un mite e riservato ribelle di campagna nell’Inghilterra vittoriana. Anche lui sempre in fuga dal clamore, con dentro il suo segreto, ma tra le verdi colline del Kent. Charles Darwin ci ha insegnato che cosa tiene insieme un corallo, un’orchidea, una primula, un essere umano e l’insegna arrugginita di un saloon.

È Ordinario presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Padova, dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche. Filosofo della biologia ed esperto di teoria dell’evoluzione, è autore di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali nel campo della filosofia della scienza. Saggista, presentatore e autore televisivo e teatrale, È direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione, e di Il Bo Live, web magazine dell’Università di Padova. Collabora con Il Corriere della Sera e con le riviste Le Scienze, Micromega e L’Indice dei Libri. Il suo sito web è https://telmopievani.com/