“E luce fu”: la diffusione culturale dell’utilizzo del fuoco
Secondo una nuova teoria, le tecniche per sfruttare il fuoco vennero condivise tra gli umani del Medio Pleistocene, che le impararono gli uni dagli altri. Se fosse vero, sarebbe il più antico esempio di diffusione culturale di tecnologie nell’uomo
Se pensiamo agli albori della nostra specie, la linea di demarcazione che ci separa, nella nostra mente, dagli altri animali è spesso quella tremolante della luce di un falò. L’utilizzo del fuoco caratterizza la specie umana come poche altre cose, e ha avuto un’importanza fondamentale per la nostra sopravvivenza. Forse ancora più importante, però, è stata la nostra cultura.
Per cultura si intende, in generale, l’insieme di conoscenze, comportamenti e norme tipico di un gruppo, e diffuso socialmente tra i suoi membri. Non siamo affatto l’unico animale a possedere una cultura (ne troviamo esempi soprattutto in altri primati e nei cetacei), ma la nostra, o le nostre, ha una ricchezza e complessità senza pari.
Secondo la teoria dell’archeologo Wil Roebroeks e colleghi dell’Università di Leiden, la diffusione del fuoco tra gli ominini del Medio Pleistocene potrebbe essere il primo esempio di cultura umana. La teoria, pubblicata su PNAS, prende in esame le prove archeologiche dei primi fuochi antropogenici, che sembrano puntare a una loro comparsa relativamente improvvisa in Europa, Africa e Asia occidentale intorno a 400 mila anni fa. Questa diffusione, per così dire, a fuoco di paglia sarebbe la conseguenza di incontri sociali tra gli ominini, che si sarebbero insegnati a vicenda l’uso del fuoco.
Ceneri antiche
Lo studio ha le sue basi in una review del 2011 firmata da Roebroeks insieme all’archeologa italiana Paola Villa. Nella review, si notava per la prima volta il pattern dei resti di fuochi in Europa, comparsi in maniera importante nell’intervallo tra 400 mila ai 300 mila anni fa. I ricercatori ne traevano la conclusione che la colonizzazione umana dell’Europa fosse avvenuta senza l’aiuto del fuoco, nonostante le basse temperature di questi luoghi.
Questa datazione, però, non è affatto scontata. Il motivo è la difficoltà di studiare falò vecchi centinaia di migliaia di anni. Gli umani del Medio Pleistocene non costruivano strutture intorno ai loro fuochi, per cui gli archeologi devono fare affidamento su resti quali legna o ossa carbonizzate. Si tratta di resti fragili, facilmente dispersi dagli agenti atmosferici, e anche quando arrivano fino a noi rimane la domanda: si trattava di un fuoco naturale o acceso da mano umana?
A corroborare la comparsa “improvvisa” di fuochi dopo 400 mila di anni fa sono soprattutto numero e localizzazione dei resti. Se prima le tracce ci sono, ma sono rare e isolate, dopo si trovano in molti siti, alcuni dei quali portano i segni di diversi fuochi ripetuti nel tempo. Questi siti spaziano dalla caverna di Bolomor, in Spagna, fino a quella di Qesem, Israele, per arrivare alla caverna di Border, Sud Africa.
Il fuoco della cultura
Roebroeks e colleghi prendono in considerazione varie spiegazioni per questo pattern. Scartano l’ipotesi che si sia trattato di scoperte indipendenti: le localizzazioni dei ritrovamenti fanno pensare a una diffusione della tecnica. In più, le condizioni ambientali dei vari siti erano troppo varie, le pressioni selettive troppo diverse per aver condotto gli ominini a una medesima soluzione.
Ma come si diffusero le tecniche per sfruttare il fuoco? Una trasmissione di “geni per l’utilizzo del fuoco” tra gli ominini avrebbe richiesto diverse generazioni, ben più tempo rispetto alla diffusione rapida, relativamente parlando, evidenziata dai resti. Anche una diffusione demica, ovvero per via di una popolazione dotata dei tratti in questione (in questo caso, la capacità di utilizzare il fuoco) che migri e si fonda alle altre, appare un po’ troppo lenta per spiegare il processo; in più, l’utilizzo del fuoco era comune non solo a una popolazione ma a tante (oltre ai sapiens almeno i Neanderthal ne facevano uso).
Rimane la spiegazione scelta da Roebroeks e colleghi: la diffusione culturale. Ci sono ampie evidenze, soprattutto genetiche, che le popolazioni di ominini del Medio Pleistocene avessero dei contatti sufficienti a consentire il passaggio di informazioni. Queste informazioni e tecniche, poi, sarebbero state semplici da trasmettere, decisamente alla portata della struttura sociale che molti ricercatori attribuiscono ai nostri antenati. Più complicato, probabilmente, era insegnare la tecnica Levallois per scheggiare la pietra, che ha visto una rapida diffusione simile a quella del fuoco circa 100 mila anni più tardi. Secondo gli antropologi Hérisson e Soriano, anche la tecnica Levallois avrebbe visto una diffusione culturale; se così fosse, lo scenario ipotizzato da Roebroeks e colleghi sarebbe tutt’al più probabile.
Il fuoco, quindi, sarebbe la prima tecnologia diffusa per via culturale. Secondo Roebroeks e colleghi, ciò significa che gli antichi ominini avevano già un comportamento, una cultura, lontani da quelli dei grandi primati attuali, e simili ai nostri.
Riferimenti: MacDonald, Katharine, et al. “Middle Pleistocene fire use: The first signal of widespread cultural diffusion in human evolution.” Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 118, no. 31, 3 Aug. 2021, p. e2101108118, doi:10.1073/pnas.2101108118.
Immagine: Pubblico dominio via Pxhere
Per cultura si intende, in generale, l’insieme di conoscenze, comportamenti e norme tipico di un gruppo, e diffuso socialmente tra i suoi membri. Non siamo affatto l’unico animale a possedere una cultura (ne troviamo esempi soprattutto in altri primati e nei cetacei), ma la nostra, o le nostre, ha una ricchezza e complessità senza pari.
Secondo la teoria dell’archeologo Wil Roebroeks e colleghi dell’Università di Leiden, la diffusione del fuoco tra gli ominini del Medio Pleistocene potrebbe essere il primo esempio di cultura umana. La teoria, pubblicata su PNAS, prende in esame le prove archeologiche dei primi fuochi antropogenici, che sembrano puntare a una loro comparsa relativamente improvvisa in Europa, Africa e Asia occidentale intorno a 400 mila anni fa. Questa diffusione, per così dire, a fuoco di paglia sarebbe la conseguenza di incontri sociali tra gli ominini, che si sarebbero insegnati a vicenda l’uso del fuoco.
Ceneri antiche
Lo studio ha le sue basi in una review del 2011 firmata da Roebroeks insieme all’archeologa italiana Paola Villa. Nella review, si notava per la prima volta il pattern dei resti di fuochi in Europa, comparsi in maniera importante nell’intervallo tra 400 mila ai 300 mila anni fa. I ricercatori ne traevano la conclusione che la colonizzazione umana dell’Europa fosse avvenuta senza l’aiuto del fuoco, nonostante le basse temperature di questi luoghi.
Questa datazione, però, non è affatto scontata. Il motivo è la difficoltà di studiare falò vecchi centinaia di migliaia di anni. Gli umani del Medio Pleistocene non costruivano strutture intorno ai loro fuochi, per cui gli archeologi devono fare affidamento su resti quali legna o ossa carbonizzate. Si tratta di resti fragili, facilmente dispersi dagli agenti atmosferici, e anche quando arrivano fino a noi rimane la domanda: si trattava di un fuoco naturale o acceso da mano umana?
A corroborare la comparsa “improvvisa” di fuochi dopo 400 mila di anni fa sono soprattutto numero e localizzazione dei resti. Se prima le tracce ci sono, ma sono rare e isolate, dopo si trovano in molti siti, alcuni dei quali portano i segni di diversi fuochi ripetuti nel tempo. Questi siti spaziano dalla caverna di Bolomor, in Spagna, fino a quella di Qesem, Israele, per arrivare alla caverna di Border, Sud Africa.
Il fuoco della cultura
Roebroeks e colleghi prendono in considerazione varie spiegazioni per questo pattern. Scartano l’ipotesi che si sia trattato di scoperte indipendenti: le localizzazioni dei ritrovamenti fanno pensare a una diffusione della tecnica. In più, le condizioni ambientali dei vari siti erano troppo varie, le pressioni selettive troppo diverse per aver condotto gli ominini a una medesima soluzione.
Ma come si diffusero le tecniche per sfruttare il fuoco? Una trasmissione di “geni per l’utilizzo del fuoco” tra gli ominini avrebbe richiesto diverse generazioni, ben più tempo rispetto alla diffusione rapida, relativamente parlando, evidenziata dai resti. Anche una diffusione demica, ovvero per via di una popolazione dotata dei tratti in questione (in questo caso, la capacità di utilizzare il fuoco) che migri e si fonda alle altre, appare un po’ troppo lenta per spiegare il processo; in più, l’utilizzo del fuoco era comune non solo a una popolazione ma a tante (oltre ai sapiens almeno i Neanderthal ne facevano uso).
Rimane la spiegazione scelta da Roebroeks e colleghi: la diffusione culturale. Ci sono ampie evidenze, soprattutto genetiche, che le popolazioni di ominini del Medio Pleistocene avessero dei contatti sufficienti a consentire il passaggio di informazioni. Queste informazioni e tecniche, poi, sarebbero state semplici da trasmettere, decisamente alla portata della struttura sociale che molti ricercatori attribuiscono ai nostri antenati. Più complicato, probabilmente, era insegnare la tecnica Levallois per scheggiare la pietra, che ha visto una rapida diffusione simile a quella del fuoco circa 100 mila anni più tardi. Secondo gli antropologi Hérisson e Soriano, anche la tecnica Levallois avrebbe visto una diffusione culturale; se così fosse, lo scenario ipotizzato da Roebroeks e colleghi sarebbe tutt’al più probabile.
Il fuoco, quindi, sarebbe la prima tecnologia diffusa per via culturale. Secondo Roebroeks e colleghi, ciò significa che gli antichi ominini avevano già un comportamento, una cultura, lontani da quelli dei grandi primati attuali, e simili ai nostri.
Riferimenti: MacDonald, Katharine, et al. “Middle Pleistocene fire use: The first signal of widespread cultural diffusion in human evolution.” Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 118, no. 31, 3 Aug. 2021, p. e2101108118, doi:10.1073/pnas.2101108118.
Immagine: Pubblico dominio via Pxhere
Ho un master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, e ho scritto per le riviste online Il Tascabile e Agenda17, oltre che per Pikaia. Sono medico e lavoro come specializzando in Genetica medica con l’Università di Pavia. Scrivo anche narrativa, e ho pubblicato due racconti nelle raccolte dei concorsi Caratteri di uomo e di donna del 2018 e Oltre il velo del reale del 2022.