Una madre per due specie: come una formica alleva i maschi di un’altra per sopravvivere
Combinando lavoro di campo, analisi di genomica di popolazione ed esperimenti di laboratorio si è scoperto che le femmine di una specie di formica usano spermatozoi di una specie diversa dello stesso genere per produrre sia le operaie, sia altri maschi della specie estranea
Nella nostra cultura biologica spesso l’importanza dell’ibridazione come meccanismo evolutivo importante è sottovalutata, in particolare per quel che riguarda gli animali. Eppure una rassegna di una quindicina d’anni fa elenca non meno di 10.000 casi di ibridi descritti fra gli animali, e ormai sono noti molti casi di specie animali nate per ibridazione.
Era noto da tempo che le formiche mietitrici appartenenti al genere Messor ibridassero fra specie diverse, anche in luoghi dell’Europa dove alcune specie non sono presenti, o lo sono assai di raro. Un gruppo di 18 ricercatori prevalentemente francese, ma comprendente anche svizzeri, italiani, rumeni, spagnoli e austriaci ha studiato popolazioni di questo genere in tutta Europa, trovando nel caso della Sicilia un esempio particolarmente emblematico.
L’isola è una regione dove è presente Messor ibericus, una specie con distribuzione che segue la costa settentrionale del Mediterraneo, ma non Messor structor, che ha una distribuzione più settentrionale, dalla costa atlantica francese all’Europa centrale e verso est fino al Mar Nero. In Sicilia colonie più vicine di M. structor sono a migliaia di chilometri di distanza da quelle di M. ibericus (tra l’altro le due specie sono filogeneticamente piuttosto lontane: si calcola che le due specie si siano separate 5 milioni di anni fa!).
A dispetto di ciò, i ricercatori hanno scoperto che tutte le operaie di M. ibericus analizzate, provenienti da diverse popolazioni europee, erano ibridi delle due specie, che avevano mitocondri di origine ibericus, mentre il DNA nucleare era un misto delle due specie.
Fenomeni di ibridazione “fisiologica” sono noti anche in altre specie di formiche, attraverso un fenomeno noto come parassitismo spermatico, come ad esempio nel genere nordamericano Acanthomyops, dove – a quanto pare – gli ibridi prodotti hanno vantaggi nell’occupazione di ambienti marginali. Ma in questo caso doveva esserci qualcosa di più: come potevano le colonie siciliane di M. ibericus produrre ibridi con M. structor se non potevano incontrare colonie di questa specie?
Nelle formiche – come in tutti gli imenotteri, la riproduzione ha uno stile particolare, che si chiama arrenotochia, ossia i maschi sono aploidi – e forniscono spermatozoi per la riproduzione) e le femmine diploidi (e, in generale, la facoltà riproduttiva è limitata alle regine). Nei modelli usuali, la regina “decide” come allocare le sue uova. Se vengono deposte vergini daranno luogo a maschi, se fecondate genereranno femmine. Ma nel caso che stiamo descrivendo quello che succede è che le regine di M. ibericus producono sia maschi della propria specie (il 44%), sia della specie con la quale ibridano (il 56%). Tuttavia, i maschi delle due specie mostrano mitocondri ibericus, provando così l’origine da una regina di quella specie. Dunque – scrivono gli autori “mentre i maschi degli imenotteri tipicamente ereditano il genoma della loro madre da uova non fecondate, i nostri risultati indicano che le regine di M. ibericus producono maschi senza trasmettere loro il genoma nucleare.”

Sorge dunque un problema: quale è la funzione dei due maschi diversi? Sembra che le femmine prodotte dalla fecondazione di uova ibericus da parte di maschi di structor siano destinate alla vita di operaie, e dunque a una sterilità funzionale (si veda la figura), mentre le uova di ibericus fecondate da maschi di ibericus diverranno le future regine. Non è chiaro perché esista questa differenza, ma probabilmente va fatta risalire alla fase biogeografica di simpatria delle due specie: forse le operaie ibride avevano qualche vantaggio selettivo.
Questo fenomeno è descritto, nell’infinito Kamasutra che ci offre la biologia della riproduzione (un’ottima messa a punto nel libro di Fusco e Minelli citato) – col nome di androgenesi, ossia quella modalità riproduttiva nella quale uno spermatozoo o un nucleo pollinico si fonde con il nucleo dell’ovulo, ma il genoma materno viene eliminato dal genoma paterno (Pikaia ne ha parlato qui), un caso che si potrebbe far rientrare nel novero del parassitismo riproduttivo, nel quale il maschio di una specie sfrutta un’altra specie per riprodurre il proprio genoma.
Tuttavia nel caso delle due specie di Messor mi sembra che il “bastone del comando”, se si può usare una simile espressione, sia in mano a M. ibericus, che inserisce i maschi di M. structor da lei prodotti nel suo ciclo riproduttivo. Gli autori chiamano questo processo xenoparità, ossia la necessità di propagare il genoma di un’altra specie usando le proprie uova. Naturalmente potremmo chiederci come mai i maschi di structor si siano lasciati “intrappolare” in questo meccanismo, ma è facile rendersi conto che in termini, diciamo, di gene egoista, i maschi clonati di structor propagano il loro genoma attraverso gli sforzi riproduttivi e le cure parentali di ibericus.
In un certo senso – affermano gli autori “… i maschi clonati potrebbero essere visti come una forma perfetta di maschi parassiti”, poiché sono sì essenziali alle femmine della specie ospitante, ma si riproducono a spese delle loro uova. Gli autori hanno prove biogeografiche e genetiche che il fenomeno sia nato da un’ibridazione interspecifica quando colonie di M. structor erano simpatriche con quelle di M. ibericus, per poi scivolare verso la clonazione dei maschi di structor quando colonie di quella specie non erano presenti nell’areale di ibericus.
L’esistenza di maschi di M. structor prodotti da regine di M. ibericus sfida le nostre idee sulle specie, in particolare quella che i membri di una specie devono incrociarsi con altri membri della stessa specie per produrre figli, ma non con individui di un’altra specie. Tuttavia va notato che i maschi prodotti dall’incrocio interspecifico sono leggermente diversi da quelli prodotti dalle regine di M. structor, e – soprattutto – portano DNA di M. ibericus nei loro mitocondri.
Riferimenti:
Y. Juvé, C. Lutrat, A. Ha, A. Weyna, E. Lauroua, A. C. Afonso Silva, C. Roux, E. Schifani, C. Galkowski, C. Lebas, R. Allio, I. Stoyanov, N. Galtier, B. C. Schlick-Steiner, F. M. Steiner, D. Baas, B. Kaufmann & J. Romiguier. One mother for two species via obligate cross-species cloning in ants. Nature, September 2025 10.1038/s41586-025-09425-w
Giuseppe Fusco, Alessandro Minelli Biologia della riproduzione. Pearson Italia, 2018, pp. 320
Grafica in apertura: da Nature video “How is this possible?” — two species birthed by one mother [Video]. In YouTube. https://www.youtube.com/watch?v=H-Y6-j8FlIQ
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università

