Il genoma di mammut in 3D
Dal DNA antico alla ricostruzione della struttura 3D del genoma: nuove scoperte sulla genetica dei mammut
Una recente pubblicazione pre-print, intitolata “Three-dimensional genome architecture persists in a 52,000-year-old woolly mammoth skin sample” e frutto del lavoro di un’equipe internazionale guidata da Marc A. Marti-Renom, M. Thomas P. Gilbert e Erez Lieberman Aiden, ha studiato il DNA estratto dall’epidermide di una femmina di mammut preservata nel permafrost e databile a 52.000 anni or sono.
I risultati ottenuti nel mammut sono decisamente interessanti, perché dimostrano che anche le modifiche epigenetiche possono essere conservate e studiate in campioni antichi. Come suggerito dagli Autori, probabilmente proprio il fatto che il materiale genetico non sia presente come molecola lineare, ma come struttura ripiegata potrebbe favorirne la conservazione anche per lunghi periodi di tempo. Questo approccio permetterà quindi non solo di favorire la ricostruzione del genoma di specie estinte, ma anche di avere informazioni sullo stato di attivazione dei geni identificati.
Quali geni dei mammut erano attivi?
I dati ottenuti da Marti-Renom, Gilbert e Aiden indicano che l’organizzazione del genoma delle cellule epidermiche di mammut assomiglia in modo marcato a quella osservata nell’elefante asiatico, con alcune differenze che indicano i geni la cui trascrizione era differente nel mammut rispetto all’elefante asiatico moderno. Nel complesso sono stati identificati 146 geni che nel mammut avevano probabilmente una espressione diversa, tra cui il gene Barx2, che nei topi definisce la lunghezza dei peli, e il gene Dusp10, che regola il differenziamento degli adipociti bruni, che sono implicati nel controllo della termoregolazione.Andando a ripetere l’analisi in campioni moderni, Marti-Renom, Gilbert e Aiden hanno osservato che la stessa differenza è presente nelle femmine sia di elefanti africani che asiatici (mentre è assente nelle loro controparti maschili) a indicare che la peculiare architettura del cromosoma X inattivo osservata nei mammut è conservata negli elefantidi. I dati pubblicati sono quindi interessanti anche per ricostruire in modo più dettagliato l’evoluzione di meccanismi comuni a tutti i mammiferi, tra cui appunto la compensazione del dosaggio che regola lo spegnimento di uno dei due cromosomi X nelle femmine.
Quanto potrà questa tipologia di analisi molecolare essere estesa ad altri campioni?
Un ultimo punto di interesse è legato alla de-estinzione (su Pikaia ne abbiamo parlato qui e qui), inteso come tentativo di ricreare una copia di un animale estinto con l’ingegneria genetica, modificando il genoma di una specie vivente. I dati ottenuti permetterebbero, infatti, non solo di sapere quali mutazioni erano tipiche dei mammut, ma anche quali geni avevano peculiari modifiche epigenetiche.
Fonte:
Sandoval-Velasco, M., Dudchenko, O., Rodríguez, J. A., Estrada, C. P., Dehasque, M., Fontsere, C., …Aiden, E. L. (2023). Three-dimensional genome architecture persists in a 52,000-year-old woolly mammoth skin sample. bioRxiv, 2023.06.30.547175. Retrieved from https://doi.org/10.1101/2023.06.30.547175
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Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.