Il mondo naturale nella storia del pensiero giapponese

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Nel corso della sua storia millenaria, il Giappone ha sviluppato un pensiero dai forti connotati naturalistici: filosofia, arte e religione ne esprimono tutta la sua complessità

Sin dalle sue origini, la cultura del Giappone ha intrattenuto uno stretto legame con il mondo naturale. La sua percezione e riflessione in ambito religioso, filosofico e scientifico è al centro di un recente lavoro, a firma dell’orientalista Donatella Failla e pubblicato su Civiltà e Religioni.

Dalla religione alla scienza moderna
Se volessimo schematizzarne i tratti, potremmo individuare quattro grandi fasi nello sviluppo del suddetto legame. La prima concerne l’evoluzione di un pensiero naturalistico in seno alla religione Shinto, in cui le divinità sono rappresentate come immanenti al mondo naturale e lo animano incessantemente. In un secondo tempo, con l’avvento del Buddhismo intorno al VI d.C., si apre una nuova stagione che, come vedremo oltrepassa i confini spazio-temporali d’origine: infatti, tale pensiero si ritroverà nelle elaborazioni scientifiche del XX secolo. Torniamo al Buddhismo. Si tratta di una filosofia che, in particolare in Giappone, istituisce una visione armoniosa del rapporto tra uomo e natura e tra l’uomo e gli altri animali. Si diffonde l’idea di una cosmologia unitaria in cui tutti gli esseri, animati e inanimati, sono in rapporto reciproco tra loro, persino dal punto di vista morale. È in questo retroterra culturale che vengono promulgati gli Editti di compassione verso gli esseri viventi, un corpus di norme ispirantesi al confucianesimo e al Buddhismo e che, per la prima volta, regolano in forma scritta le responsabilità morali da adottare verso gli animali. Attraversando i secoli di mezzo e giungendo fino agli albori dell’epoca moderna, il pensiero naturalistico giapponese riceve rinnovato impulso dal contatto con la scienza cinese e occidentale. Una terza fase si svolge infatti fra XVI e XVIII secolo, nel corso dei quali si diffonde la pratica dell’enciclopedismo, e le nuove tecniche artistiche forniscono agli intellettuali locali più precisi mezzi di rappresentazione scientifica.
L’ultimo stadio caratterizza il Novecento: è in questo secolo che, grazie all’opera di Edward Sylvester Morse (1838-1925), il Darwinismo viene introdotto in Giappone. In questa prospettiva, Imanishi Kinji (1902-1992) elabora la teoria della ‘società delle specie’, con la sua insistenza sulla cooperazione tra specie e organismi, anticipatrice della sociobiologia. Tuttavia, è un evoluzionismo ancora fortemente influenzato dall’apparato teorico buddhista.

L’armonia con la natura, nella teoria e nella pratica
È opportuno un altro rilievo. Come nota l’autrice, è percepibile una certa tensione concettuale tra la ricerca di un’armonia tra uomo e natura teorizzata dal pensiero giapponese e la sua effettiva realizzazione. Infatti, nella storia di questa civiltà non sono mancati periodi di sfruttamento intensivo delle risorse naturali, crisi ambientali e demografiche. Se è vero, dunque, che ad oggi il suolo giapponese offre rifugio ad una grande varietà faunistica, non bisogna dimenticare che il Giappone è stato ed è un territorio reso aspro da eruzioni vulcaniche, tsunami e terremoti. È forse proprio la coscienza di questa ostilità ambientale ad aver innescato, per reazione, l’idealizzazione del mondo naturale nella filosofia e nelle arti.

La storia della scienza insegna a contestualizzare
Questa breve sinossi solleva alcune considerazioni, alle quali non si può rispondere definitivamente in questa sede. Anzitutto, interroghiamoci sullo statuto epistemico delle scienze attraverso il tempo e i popoli. Per semplicità, proviamo ad impostare la questione in riferimento all’Occidente e al Giappone, per quanto consapevoli che una tale polarizzazione non faccia assolutamente giustizia alla complessità del tema. Ad un lettore contemporaneo, sentir parlare di un evoluzionismo intriso di pensiero buddhista può far storcere il naso. E allora facciamo un passo indietro nel tempo e nello spazio. Ci troviamo in Europa Centrale, a cavallo del XVI e XVII secolo. La nascita della Scienza moderna è in corso… ci rendiamo subito conto, però, che si tratta di una scienza con delle metodologie ben diverse da quelle attuali. Copernico, Keplero e Newton, per citarne alcuni, subivano ancora l’influenza di un’indagine della natura di ispirazione cristiana, platonica e neoplatonica, oltre a quella di tradizioni di carattere esoterico e alchemico. Ad oggi, la storiografia contemporanea è concorde nel ritenere che tutte queste tradizioni ebbero un certo peso nella nascita di una scienza moderna, e che ha poca utilità voler discernere ciò che è scientifico da ciò che è pseudoscientifico. Ciò, per il semplice fatto che tali distinzioni non erano ancora così nette, e che si tratta di categorie storiografiche posteriori.

Più recentemente, l’evoluzionismo predarwiniano racconta una storia simile: i grandi teorici francesi, inglesi e tedeschi subivano ancora influssi derivanti dalla teologia cristiana, e in certa misura dal neoplatonismo. Nascita, sviluppo e consolidamento delle scienze, dunque, rimandano ad una serie di fenomeni articolati e causalmente interconnessi, di cui spesso non è possibile effettuare un’analisi isolata, se non a prezzo di una comprensione parziale. Torniamo a noi. Cosa ci dice tutto questo dell’evoluzionismo giapponese del XX secolo? In primo luogo, che è necessario svolgerne uno studio profondamente contestuale, che tenga conto della specificità delle condizioni socioculturali entro cui si è originato e sviluppato. Ciò implica, conseguentemente, che se ne riconosca l’autonomia. Ora è chiaro che la scienza occidentale ha ad oggi dei criteri ben definiti e che tali protocolli vengano applicati più o meno indistintamente in Paesi diversi. Tale uniformità normativa ed epistemica non dovrebbe però viziare il giudizio storico proprio perché, come abbiamo visto, nello stesso Occidente moderno tali sviluppi non sono stati lineari. A maggior ragione, è pericoloso traslare un determinato modello di scienza senza tener conto delle peculiari contingenze storiche di un fenomeno, quale l’evoluzionismo giapponese del Novecento. In questo modo, osserviamo ancora, si rischia di perder di vista i possibili contributi intellettuali che poi hanno avuto un séguito culturale. In conclusione, si tratta di adoperare la massima cautela nel discutere di culture e popoli differenti attraverso un set di categorie concettuali predefinito e univoco. Al contrario, tramite l’applicazione di una pluralità di metodi diviene possibile apprezzare la diversità delle dimensioni culturali e le possibili ‘convergenze’ evolutive al livello intellettuale. La storia del pensiero naturalistico giapponese può essere certamente letta congiuntamente a quella della sua ‘controparte’ occidentale. S’impone tuttavia la necessità di apprezzarne le specificità ideologiche, senza rischiarne una lettura pericolosamente eurocentrica. Riferimenti: Failla, D. (2021), Animali e natura in Giappone, Civiltà e Religioni, 7: 289-329

Immagine: UTAGAWA HIROSHIGE, (1797-1858) Dentice (Pagrus
major), c. 1834. Silografia policroma, foglio in formato grande orizzontale con
polvere di mica, 25.3 x 35 cm. © Museo Chiossone (S-446), Genova, dalla pubblicazione citata