In viaggio con Pikaia a Costantinopoli
Partite con Pikaia e Lazzaro Spallanzani verso l’Impero Ottomano, con una deviazione sulla strada del ritorno
Costantinopoli, come scrive Mazzarello nell’introduzione a Viaggio a Costantinopoli di Spallanzani (Mucchi Editore), è un luogo “lontano dalla vecchia Europa molto più di quanto le distanze geografiche lasciassero immaginare. (…) E soprattutto immetteva in una natura inesplorata, lungo quel mare che si incastrava fra l’Europa e l’Asia: tutto lasciava pensare che anche da questo punto prospettico le attese non sarebbero andate deluse. Affascinato dai confini dei mondi, dove maggiormente la natura si mostra nelle sue singolarità, Lazzaro Spallanzani aveva finalmente l’occasione da tempo inseguita di gettare il suo sguardo indagatore, la sua avida mente, in questo mondo lontano, nonostante la sua relativa vicinanza geografica, diverso eppure anticamente simile, sconosciuto anche se da più di tre secoli prospiciente e in competizione con l’Europa”. I primi contatti con i Turchi Oggi, abituati a viaggiare, è probabilmente difficile comprendere appieno il fascino che questo vicino Oriente aveva per gli Europei nel Settecento tra desiderio di conoscenza, curiosità per l’ignoto e fascino per un grande impero, quale era l’Impero Ottomano, con al centro il suo luogo più simbolico, la città di Costantinopoli. Spallanzani inizia da subito ad annotare ciò che osserva, mostrando di non avere una grande stima per i Turchi, che descrive come fatalisti, apatici e privi d’iniziativa. Spallanzani era colpito, inoltre, dal fatto di vedere “tante belle pianure tante belle colline trascurate per l’inerzia o piuttosto ignoranza dei Turchi che non sanno che cosa è agricoltura. La loro vita si spende per massima parte in fumare, bere caffè ed acqua e nelle loro abitazioni. E sono così silenziosi che ad onta di stare molti insieme e fissi nel medesimo luogo per quasi una giornata intiera rare volte fanno un principio di dialogo insieme”. Un aspetto interessante è che, per Spallanzani, queste osservazioni entografiche sono parte dell’esperienza di viaggio tanto quanto lo sono le osservazioni naturalistiche:
“avrei commesso un peccato d’ommissione – scrive Spallanzani – se non avessi posto qualche studio nel fisico e nel morale de’ Turchi, facendo però in gran parte le mie considerazioni, non già come altri viaggiatori, che scritto hanno tanto intorno ai Turchi, ma come naturalista, che astraendo e generalizzando le cose guarda sotto un medesimo angolo e gli animali, e l’uomo, e tra l’uno e gli altri trova maggiori o minori rapporti, secondo la diversa qualità di uomini che prende a considerare”.
Spallanzani osserva inoltre che i Turchi sono “mancanti di cognizioni in Geografia e in Nautica” e privi di conoscenze militari, in quanto “essendo già destinato quando ognuno deve morire, pensano essere inutile qualunque studio ed esercizio nell’arte militare: e se sono destinati a vincere, sono sicuri di ottenerlo senza tanti preparativi, o cultura”. Al tempo non era raro per gli occidentali, anche naturalisti, giudicare le altre culture in modo così tranchant, se non razzista. Ma ai Turchi Spallanzani riconosceva anche delle qualità, come l’onestà e il non molestare gli animali.
Spallanzani e l’esplorazione naturalistica
Un fascino decisamente diverso ha per Spallanzani la biodiversità che osserva nelle sue “escursioni scientifiche”, in quanto occasioni non solo per studio della natura, ma anche per creare nuove opportunità di sperimentazione. Colpisce di Spallanzani il fatto di pianificare un viaggio a più dimensioni. Spallanzani si muove infatti in altezza, studiando i fenomeni atmosferici e meteorologici, in profondità, per mezzo delle reti da pesca e nel tempo grazie a osservazioni geologiche e archeologiche:
“Un viaggio – scrive Mazzarello -, attraverso le <cose>, che compongono il mosaico del mondo: minerali, animali, vegetali (anche se Spallanzani ebbe interessi botanici soltanto occasionali). La natura, dunque, nella sua totalità, perché niente era privo di interesse, ogni piccolo frammento del creato poteva racchiudere fenomeni straordinari, nascondere prodigi. E spesso, come aveva rivelato Plinio il Vecchio, era più stupefacente proprio nelle piccole cose”.
È interessante, inoltre, leggere che Spallanzani, prima di imbarcarsi, meditò accuratamente il programma scientifico che poteva sviluppare nel corso del viaggio, chiedendo anche consiglio a naturalisti autorevoli (tra cui lo svizzero Horace-Benedict de Saussurre). Stese inoltre una accurata lista di quanto necessario: “Un termometro da immergere in fondo al mare. Un barometro. Una calamita. (…) Spirito di vino con boccettino, stromento per prender le farfalle, e cassettine per gl’Insetti. Microscopio, Tavoletta del Lyonet, Astuccio, e ferri piccioli, e grandi anatomici. Vasetti, e vasi di cristallo se è possibile. Spaghi di varie qualità, con siringhette. (…) Oltre al barometro, e termometro avere uno strumento onde conoscere quanto piove in un anno. (…) Prendere tutti gli insetti possibili, e recar meco gli strumenti per prenderli, e per tenerveli”.
Ben prima di Alexander von Humboldt, Spallanzani concepiva quindi il viaggio come un’impresa scientifica. Come suggerito da Mazzarello, per Spallanzani il viaggio diventa una “esperienza di ampliamento delle possibilità di acquisire conoscenza, moltiplicazione delle probabilità di incontro con fenomeni sconosciuti. Perché nel celato sta l’attrazione e la spinta alla ricerca, la motivazione profonda del sapere che non basta a sé stesso ma è destinato a spingersi verso l’ignoto con forza maggiore quanto più è solidamente costituito”. Sebbene Spallanzani non sarebbe stato sicuramente d’accordo, l’idea di viaggio come impresa scientifica si era già imposta grazie a Linneo, che formò una rete di studiosi sparsi per il mondo, destinata a inviargli relazioni scientifiche e campioni naturalistici.
Spallanzani fece complessivamente 11 viaggi naturalistici, di cui i due più importanti furono il viaggio nelle Due Sicilie nel 1788 (qui è scaricabile il libro che Spallanzani scrisse per raccontare questo viaggio) e quello a Costantinopoli (dal 1785 al 1786).
Studiare, raccogliere, catalogare e insegnare
Leggendo la ricostruzione del viaggio a Costantinopoli di Spallanzani emerge un forte desiderio di svelare i segreti della natura osservandola in modo imparziale “senza aggiunta alcuna della nostra mente”. Da un lato quindi si osserva come, riprendendo le parole di Mazzarello, Spallanzani fosse “affascinato e sedotto dalla natura quanto il suo contemporaneo Casanova lo era dalle donne”. Dall’altro, è evidente che in questa fase del Settecento vi erano due diverse maniere di concepire la ricerca in campo naturalistico. Da una parte lo sforzo per classificare i viventi in maniera soddisfacente e possibilmente definitiva, operata da Linneo e dai suoi sostenitori; dall’altra l’impegno di Spallanzani e di altri naturalisti nel cercare di comprendere il maggior numero possibile dei meccanismi alla base della vita. Spallanzani non sottovalutava l’importanza della tassonomia come strumento essenziale nel lavoro scientifico, ma riteneva che i «nomenclatori» in termini di competenze avessero ciò che serve “in fatto di nomenclatura pratica per nominar bene i pezzi. Nulla poi sanno nel rimanente della Storia Naturale”.
“Per Spallanzani – scrive Mazzarello – la nomenclatura «sdrucciola sulla superficie delle cose» senza penetrarne le profonde ragioni fisiche che principalmente formano l’interesse del «profondo Indagatore». Scambia la forma per la sostanza, i nomi al posto delle funzioni”.
Nell’opera di Spallanzani prende inoltre forma una idea nuova di museo naturalistico che si differenzia dalle Wunderkammer e dai piccoli cabinets d’histoire naturelle che avevano popolato le abitazioni nobiliari nel Settecento. Con Spallanzani, scrive Mazzarello, “il Museo non è concepito per attirare la curiosità estetica o per dare libero sfogo al desiderio, fine a sé stesso, di osservare il particolare morboso, oppure mostruoso e pauroso. (…) Nel Museo avevano spazio non solo i pezzi rari ed esotici, ma anche i più comuni, così da fornire una rappresentazione ininterrotta della sterminata catena degli esseri, come in una sorta di variegata e ordinata biblioteca del mondo. (…) Per quanto possibile il Museo doveva anche fornire immagine ed elementi sul significato delle forme viventi e sui meccanismi che presiedevano alle loro funzioni. Come tale costituiva anche il giacimento da cui trarre il materiale primario per la ricostruzione di frammenti del mondo, un luogo vivo dove fare <filosofiche esperienze> (…) Poi l Museo assolveva la funzione essenziale nell’insegnamento, perché nei suoi spazi si svolgevano ostensioni e seminari che integravano le lezioni dalla cattedra e permettevano agi studenti l’accesso immediato e concreto ai vari capitoli della storia naturale”.
Le collezioni Spallanzani oggi
La collezione di Spallanzani era originariamente collocata in cinque stanze al secondo piano della sua casa natale a Scandiano nell’attuale via Cesare Magati (ancora oggi visitabile su prenotazione). Spallanzani, non potendo essere spesso nella propria casa di Scandiano, si assicurava che la sorella e il fratello mantenessero ben conservati i pezzi, di cui egli stessi curava la collocazione in appositi armadi.
“Per conto poi dell’armadio […] pagherò nove zecchini e li pagherò anticipatamente se vi trovaste in dispari, e non avrò difficolta a spenderne anche 10, ma è necessario che sia simile agli altri due degli Uccelli, anzi più largo, e più alto, e forse anche più profondo, esigendo per lo meno un braccio e più di profondità, giacché vi devono andar dentro da 100 a più pesci, ciascuno sulla sua assicella, andate voi stesso a vedere che lo sfondo deve essere molto grande, dovendo restare per ogni scaffale due o tre ordini di pesci.”
Alla sua morte, la raccolta venne venduta dal fratello Nicolò al Municipio di Reggio Emilia ed è oggi conservata, integra nella sua consistenza settecentesca, presso i Musei Civici di Reggio Emilia, dove è organizzata così come il grande scienziato e naturalista scandianese la concepì e ordinò.
Grazie al Centro Studi Lazzaro Spallanzani è possibile scaricare liberamente, in formato PDF, il volume di Stefano Meloni dal titolo Lazzaro Spallanzani e la collezione naturalistica dei Musei Civici di Reggio Emilia, che illustra la storia, la consistenza e le diverse collocazioni della raccolta Spallanzani. Chi fosse interessato può vedere qui una interessante video-presentazione della collezione tenuta da Silvia Chicchi, curatrice delle collezioni naturalistiche dei Musei Civici di Reggio Emilia.
I manoscritti e il carteggio di Spallanzani sono, invece, conservati nella Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Tra questi, 71 manoscritti, scelti tra quelli inediti o meno studiati (come i diari di laboratorio, le lezioni accademiche, i resoconti di viaggio e gli “estratti” letterari e scientifici) sono stati digitalizzati (qui il link per leggerli).
Grazie al lavoro di numerosi ricercatori, questo importante materiale è stato pubblicato nell’Edizione Nazionale delle Opere di Lazzaro Spallanzani, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e realizzata dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Verso una storia naturale del mare
Nelle varie tappe del suo viaggio a Costantinopoli, Spallanzani non dimenticò di studiare la fauna marina, che era ormai parte stabile del suo programma di ricerca: “da qualche anno sono tutto occupato nelle cose di mare con l’idea da qui a qualche tempo di pubblicare un saggio di Istoria Naturale del mare”.
Il mare, con le sue misteriose forme di vita, era divenuto una parte essenziale nei progetti di filosofia naturale di Spallanzani, e per migliorare le sue conoscenze delle creature marine pianificò viaggi sulla riviera ligure, a Marsiglia e in riva all’Adriatico.
“Non saprei dissimularvi che dappoichè ho cominciato a familiarizzarmi alcun poco con le produzioni marine, queste sono divenute le mie delizie, i miei amori. Diverse di esse non possono piegar di vantaggio il talento indagatore per le novità, che seco recano, essendo tuttora come terra incognita nel Paese dei Naturalisti”
Lo studio del mare era dunque per Spallanzani un modo per appagare la sua inesauribile sete di conoscenza e lo calava in uno stato di beatitudine, in cui si sentiva in perfetta armonia con il mondo (qui potete trovare una interessante analisi dello storico Pericle di Pietro). Leggere le pagine di Spallanzani mi ha ricordato alcuni passaggi di Il calamaro gigante (Feltrinelli, 2021), libro in cui lo scrittore Fabio Genovesi racconta la storia del celacanto, del calamaro gigante e di tanti altri animali “fantastici”, che popolano non solo il mare, ma anche i racconti di mare. Purtroppo, per molto tempo, scrive Genovesi, sono stati “pochi gli scienziati che hanno ascoltato le parole degli uomini di mare – naviganti, pescatori, indigeni… -, i più le credono bugie da marinai o allucinazioni collettive”. Sicuramente, Spallanzani avrebbe concordato con Genovesi, perché la sua attività di ricerca gli aveva permesso di costruire una ampia familiarità con i pescatori, perché nelle loro reti rimanevano imprigionate anche forme di vita sconosciute che rivelavano meraviglie. Ritornare da Costantinopoli seguendo i suggerimenti di Genovesi vi costringerà certamente ad allungare il vostro viaggio. Dovrete infatti andare dalla città di Bergen sulla costa norvegese per rileggere le pagine della Storia naturale della Norvegia del teologo e zoologo Erik Pontoppidan al mare davanti alla foce del fiume Chalumna in Sudafrica per pescare celacanti, passando per la città di Lyme Regis nella contea del Dorset, in Inghilterra, per raccogliere fossili sulla costa con Mary Anning. Ma forse “è giusto così, la deriva, la perdita di una rotta breve e precisa è la nascita delle storie. Se dopo la guerra di Troia Ulisse fosse tornato diritto a Itaca, l’Odissea sarebbe tre pagine appena, di una noia mortale”. Non esitate, quindi, a perdervi tornando da Costantinopoli, perché la “destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose”.
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.