In viaggio con Pikaia sulle orme di Madame Ida Pfeiffer

Pikaia ha letto per voi “Anime inquiete” di Piero Borzini, che ripercorre la vita di numerose viaggiatrici tra Seicento e Novecento.

In più occasioni su Pikaia abbiamo parlato di viaggi ed esplorazioni e delle numerose scoperte scientifiche che ne sono derivate.

Nell’immaginario comune, il viaggiatore europeo è un maschio benestante, che parte alla scoperta di selvaggi territori inesplorati. Sebbene ciò sia spesso vero, esiste un mondo poco esplorato di viaggiatrici ed esploratrici, i cui diari conquistarono numerosi lettori per molto tempo. Una piccola, ma agguerrita, legione di viaggiatrici splendidamente illustrata dal libro Anime inquiete. Madame Pfeiffer e le altre viaggiatrici con la penna tra Seicento e Novecento (La vita felice, 2021), scritto dal medico e storico della scienza Piero Borzini.

Una prospettiva differente
Seguendo la narrazione di Borzini, non solo conoscerete l’esploratrice ed etnografa Madame Ida Pfeiffer e altre attivissime viaggiatrici, ma vi avvicinerete a un modo differente di guardare il mondo. “Escludere lo sguardo femminile nel panorama generale – suggerisce Borzini nel suo libro – impedisce al mondo di rispecchiarcisi dentro in maniera completa e implica il privarsi di una parte significativa della propria identità umana. (…) La viaggiatrice contempla i luoghi e ne scrive come a volerne cogliere lo spirito e ricavare un senso che vada oltre la superficialità dell’apparenza”.

Rileggere oggi i loro viaggi è quindi importante per avere una ricostruzione più ricca di quanto viaggiatori ed esploratori raccontavano, ciascuno in modo differente, nelle proprie cronache di viaggio.

La scrittura maschile – scrive la storica della letteratura Jennifer Hayward – tende a presentarsi come oggettiva e a far pesare le proprie credenziali di scientificità, sia che chi scrive sia esploratore, naturalista, geografo, giornalista o letterato. La scrittura femminile non intende essere necessariamente oggettiva, ma privilegia piuttosto la propria soggettività di sguardo, osserva con occhio più distaccato e critico. Ciò traspare in modo evidente non solo dai temi e dalle osservazioni, ma anche dal linguaggio”.


Il libro di Borzini ha anche il merito di mostrare il modo in cui queste impavide viaggiatrici organizzavano i propri viaggi e questo ci permette di considerare anche i pregiudizi che talvolta gli esploratori, più o meno inconsapevolmente, portavano con sé. “Per il viaggiatore – scrive Borzini-, i condizionamenti, il modo di osservare e di percepire iniziano prima del viaggio: iniziano con l’educazione, con ciò che egli stesso ha sentito narrare, con ciò che ha appreso nella biblioteca di famiglia. E lì che si forma l’idea di viaggio e, assieme all’idea, si costituiscono le aspettative e su queste si plasmerà poi lo sguardo col quale successivamente si osserva il mondo”. Come ben scrive Borzini parafrasando William Yeats, non esiste un viaggio separato e distinto dal viaggiatore che lo compie.

In viaggio con Madame Ida Pfeiffer
Ampio spazio è dedicato a Madame Ida Pfeiffer e a suoi numerosi viaggi. Sedici anni intensi, in cui Ida Pfeiffer si recò in Terrasanta, Egitto, Italia, Islanda, Norvegia, Svezia e Madagascar e partecipò a ben due giri intorno al mondo. Non male per una persona che iniziò a viaggiare a quarant’anni, quando ormai vedova, riteneva che i figli fossero divenuti in grado di cavarsela da soli.

Sebbene ogni suo viaggio presenti elementi di interesse, penso che meriti un approfondimento il suo secondo viaggio intorno al mondo (1851-1855), in cui Ida Pfeiffer visitò anche la costa occidentale del Borneo recandosi nel Sarawak, il protettorato indipendente del raja inglese James Brooke. Questa tappa è decisamente interessante perché altri esploratori e naturalisti europei avevano raggiunto l’arcipelago malese nello stesso periodo e tra questi vi sono Alfred Wallace (ne abbiamo parlato qui su Pikaia) e Odoardo Beccari (qui su Pikaia).

Il confronto dei loro diari di viaggio, come sottolinea Piero Borzini, ci permette di intrecciare e comparare le loro esperienze (tra cui l’incontro con i temibili cacciatori di teste daiacchi) e di avere Autori differenti “i cui sguardi si intrecciano costituendo forme, colori, strutture e significati diversi che si applicano alla natura e la descrivono. Una natura che solo all’apparenza è una entità esterna neutrale e oggettiva, mentre è invece qualche cosa che ciascuno di noi interpreta a modo suo, in virtù dei propri canoni”.

I diari di viaggio e più in generale i libri di viaggio erano presenze comuni nelle biblioteche personali, tanto quanto in quelle delle nascenti società scientifiche e furono ben presto ricorrenti anche nelle biblioteche universitarie, in quanto tentativi di costruire una idea, una immagine, di questi luoghi lontani. Ne sono esempi i fondi librari storici di molti Atenei, in cui ancora oggi trovano ampio spazio libri che censivano la biodiversità di luoghi lontani. Analisi che spesso non avevano la pretesta di essere dettagliate e accurate descrizioni della biodiversità, quanto anteprime di ciò che questi luoghi lontani potevano dare ai naturalisti europei.

Osservare la natura
Interessante è inoltre l’analisi che il libro di Borzini propone in merito al modo di osservare la natura. Nonostante, infatti, il tentativo di essere narratori neutrali, tutti i viaggiatori occidentali nei fatti osservano ciò con li circonda da un proprio punto di vista e questo è forse anche ciò che rendeva interessante la lettura dei loro diari. Tutti gli esploratori non si limitano a descrivere, ma giudicano e confrontano avendo ovviamente il proprio stile di vita come elemento di confronto alto, nel senso di porsi come osservatori provenienti da società di successo.

Attraverso la narrazione – scrive Borzini-, il viaggio non racconta semplicemente i luoghi, ma anche il loro spirito, rapportandoli all’immagine che ciascun viaggiatore ha di se stesso e fornisce elementi per definire, ridefinire o confermare la propria identità”.

Il richiamo a Wallace è interessante anche perché Wallace e Madame Pfeiffer erano accomunati anche dal fatto di raccogliere reperti durante le proprie spedizioni così da finanziare le spese di viaggio. Inoltre, in più occasioni emergono alcune forme simili di sensibilità, ad esempio, verso il ruolo giocato dai governi stranieri nei luoghi da loro visitati. Tanto Madame Pfeiffer quanto Wallace annotano, ad esempio, gli effetti negativi dello sfruttamento coloniale e delle condizioni di vita infelici in cui i nativi sono mantenuti. Come emergeva anche nelle narrazioni di Alexander von Humboldt (qui su Pikaia), già a fine Ottocento erano palesi gli effetti negativi sia sull’ambiente che a livello sociale dello sfruttamento coloniale.

Il viaggio come ri-creazione
Muovendosi dal Seicento al Novecento Borzini ci propone una sorta di meta-viaggio, in cui le narrazioni di Ida Pfeiffer, Celia Fiennes, Mary Wollstonecraft e Marianne North (alcune delle protagoniste del libro) si intrecciano con quelle di altri noti viaggiatori permettendoci di viaggiare non solo da un capo all’altro del pianeta, ma anche nell’essenza stesso del viaggio e di quel desiderio di conoscenza che anima, oggi come allora, tutti i viaggiatori. Non esitate quindi a partire con Borzini ricordando che il viaggio è una “occasione di ri-creazione, nel senso di una ridefinizione di identità, che (…) implica uno strappo rispetto alle costrizioni sociali, alla discriminazione di genere e agli stereotipi di ruolo”. Oggi possiamo viaggiare (epidemia permettendo) in modo facile e veloce, ma la sfida è sempre la stessa: imparare a guardare la diversità apprezzandone la bellezza senza cercare di riportarla al nostro singolo modo di vedere le cose.