La biodiversità al centro |ep. 9| Una città (anche) per la biodiversità

Giardino Sorelle Mirabal Milano NBFC

Anche le città possono diventare alleate della biodiversità. Ce lo racconta Israa Mahmoud, urbanista del Politecnico di Milano, che nello spoke 5 del National Biodiversity Future Center lavora per portare la natura, e i suoi benefici, negli spazi urbani

In Europa, oltre il 70% della popolazione vive in aree urbanizzate. Ma anche le città sono ecosistemi, e come tali possono essere ripensate per ospitare – e favorire – la biodiversità.

Ogni piccola azione che avvicina noi alla natura, e viceversa, è un atto d’amore per la diversità e la nostra vita”, osserva Israa Mahmoud, architetta e urbanista del Politecnico di Milano. In questo episodio di La biodiversità al centro racconta il suo lavoro all’interno dello spoke 5 del National Biodiversity Future Center, dove si studiano strumenti concreti per rendere gli spazi urbani più verdi, inclusivi e partecipati.

Una urbanista per la biodiversità urbana

Israa Mahmoud è professoressa di tecnica e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano. Il suo percorso accademico è iniziato in Egitto, con una laurea in Architettura e Disegno Urbano, per poi proseguire in Germania e negli Stati Uniti, dove ha conseguito un dottorato in rigenerazione urbana. Qui ha studiato l’impatto delle infrastrutture verdi sulla qualità della vita e sulla coesione sociale, analizzando in particolare il caso della Rose Kennedy Greenway a Boston: un corridoio verde nato al posto della vecchia autostrada John Fitzgerald Kennedy Expressway, che attraversava la città separando fisicamente i quartieri.

“Era una highway, un’autostrada, che divideva in due la città: oggi è diventata una greenway, un parco orizzontale, che connette la comunità.”

Dal 2018 Israa lavora al Politecnico di Milano, dove ha partecipato a diversi progetti europei – come CLEVER Cities, Pro-GREEN-LABs, Erasmus+, NBSOUTH, NATI00NS – dedicati alla co-progettazione del verde urbano. All’interno dello spoke 5 del National Biodiversity Future Center (NBFC) si occupa dei processi di governance collaborativa: come coinvolgere i cittadini nella progettazione degli spazi urbani, con un’attenzione specifica alla biodiversità.

Soluzioni basate sulla natura: risposte urbane alla crisi climatica

Nel cuore del lavoro di Israa Mahmoud per il National Biodiversity Future Center ci sono le Nature-based Solutions (NBS). Si tratta di interventi che si ispirano ai processi naturali per affrontare problemi socio-ambientali, come quelli che derivano dal cambiamento climatico. Le NBS sono usate anche in ambito urbano: parliamo di infrastrutture verdi e blu come parchi urbani, pareti e tetti verdi, aree umide, ma anche canali (come i Navigli a Milano) o strategie di forestazione urbana.

Come spiega Israa:

“L’aumento delle coperture verdi in città, per esempio, aiuta ad abbassare le temperature estive, combattere il fenomeno delle isole di calore e anche a migliorare i flussi delle acque piovane.”

Il loro impiego è sempre più centrale nella pianificazione strategica urbana, ma Israa sottolinea che le NBS, da sole, non sono sufficienti per rispondere agli effetti della crisi climatica in città.

Serve anche un sistema completo di prontezza per la riduzione del rischio di catastrofi naturali.”

Ma, specialmente nelle città, il valore delle NBS va oltre l’ambiente, poiché il loro uso apre la porta a una serie di benefici sociali. Un esempio concreto arriva da Milano, con il progetto CLEVER Cities: nel quartiere Giambellino, un parco urbano abbandonato è stato rigenerato grazie a un lungo processo partecipativo.

Cito sempre il Parco di Giambellino 129 a Milano”, racconta Israa, “che è l’esito di un processo partecipativo lungo cinque anni. È stato un parco chiuso per tanto tempo, nella parte sud della città, e che fa parte del Green Corridor della città di Milano.

Il Politecnico di Milano ha lavorato con il Comune e le associazioni locali per progettare uno spazio inclusivo, capace di rispondere alle esigenze reali degli abitanti. La nuova area verde di via Giambellino 129, inaugurata la scorsa estate, si estende per una superficie di 27.000 mq, e al suo interno sono presenti un’area condivisa, dedicata ad attività sociali e didattiche, allestita con orti e pergolati, e aree dedicate alla biodiversità.

“Il nostro ruolo è stato portare le persone a dialogare, a far parte del processo di partecipazione. Si dimostra al meglio, con questo caso, come la natura urbana possa diventare anche uno strumento di coesione sociale.”

Governance condivisa: coinvolgere davvero chi vive la città

Questo tipo di processi si basano su un approccio chiamato governance condivisa, che punta a coinvolgere attivamente le comunità nei processi decisionali.

“A me piace sempre definire la governance condivisa come un meccanismo in cui tutti gli attori prendono parte della responsabilità del progetto.”

È un processo tutt’altro che semplice, spiega Israa, perché anche le amministrazioni devono essere preparate ad accogliere e valorizzare il contributo dei cittadini nella realizzazione dei progetti “con la natura e per la natura”.

Uno degli strumenti utilizzati in questo ambito è l’Urban Living Lab: uno spazio – fisico o virtuale – pensato per favorire il dialogo e la partecipazione nei progetti di trasformazione urbana.

All’interno del National Biodiversity Future Center, Israa e i suoi colleghi del Laboratorio per la Biodiversità Urbana (Labu) hanno applicato questo metodo alla rigenerazione di un piccolo parco urbano della zona est di Milano. Si tratta dell’ex Parco di Via San Faustino, intitolato nel 2023 alle Sorelle Mirabal, quattro sorelle dominicane che si opposero alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo e furono per questo assassinate. Il loro nome in codice era “Las mariposas”, cioè “le farfalle”.

In collaborazione con il Municipio 3 e diverse realtà locali, il LABU ha attivato un processo partecipativo per la piantumazione e la gestione condivisa del verde del parco.

“Abbiamo adottato un approccio di Living Lab come luogo di dialogo con le associazioni del quartiere, i condomini intorno al parco, ma anche tra noi ricercatori – architetti, ingegneri ambientali, psicologi, ecologi – per decidere insieme ai cittadini come avrebbe dovuto essere il nuovo parco”

Inaugurato lo scorso maggio, il nuovo parco ospita, oltre a un’area pubblica con panchine e a uno sgambatoio per i cani, un’area recintata destinata allo sviluppo naturale della vegetazione e della fauna selvatica urbana. Nel parco sono anche stati installati diversi sensori per monitorare alcuni parametri ambientali ed ecologici.

Per arrivare a questo risultato sono stati organizzati quattro incontri, e a ognuno hanno partecipato almeno quindici partecipanti tra università, amministrazione comunale, associazioni e abitanti. In parallelo, il team di ricerca ha introdotto anche strumenti di valutazione della partecipazione, ispirandosi agli studi di economia comportamentale, per capire quali siano le motivazioni – o le difficoltà – che spingono o frenano la partecipazione a queste iniziative.

“Alcune difficoltà sono note.I tempi lunghi dei progetti di rigenerazione urbana, la fatica di conciliare la partecipazione con la vita quotidiana, e anche un certo digital divide, che penalizza in questo senso le fasce più vulnerabili della popolazione.”

La partecipazione richiede tempo, proprio come la natura.

La sfida dei piani urbani per la natura in Europa

Nel contesto del National Biodiversity Future Center, Israa ha recentemente coordinato uno studio comparativo sull’attuazione delle politiche per la biodiversità in dieci città europee: Barcellona (Spagna), Torino (Italia), Utrecht (Paesi Bassi), Amburgo (Germania), Gent (Belgio), Aarhus (Danimarca), Lahti (Finlandia), Porto (Portogallo), Wrocław (Polonia) e Salonicco (Grecia).

Il lavoro è stato svolto assieme a un gruppo di lavoro del Joint Research Centre della Commissione Europea e i suoi risultati sono disponibili in open access sulla rivista Urban Ecosystems.

I ricercatori volevano in particolare misurare l’impatto dei “Piani urbani per la natura”, strumenti di pianificazione previsti dal Target 14 della Strategia Europea per la Biodiversità e di cui tutte le città oltre i 20.000 abitanti devono dotarsi entro il 2030.

Le città sono state sistematicamente analizzate attraverso una serie di indicatori, in modo da riconoscere gli ostacoli e le possibili opportunità per attuare la Strategia europea della biodiversità. Per esempio, si è misurato il supporto istituzionale finanziario che ricevono le iniziative suggerite dai cittadini. Sono anche stati analizzati i processi di governance condivisa sperimentati in questo contesto, in modo da capire come renderli più accessibili per tutti.

Utrecht, Amburgo e Barcellona sono tra le città più all’avanguardia e da cui si può potenzialmente prendere esempio. In altri casi sono emersi ostacoli, come la tendenza, diffusa nelle grandi città, a “lavorare in silos”, compartimenti stagni, dove a collaborazione e le sinergie non avvengono. Ed è proprio qui che la governance condivisa, cioè il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali a livello urbanistico, può diventare strategica. Tuttavia, spiega Israa:

La partecipazione pubblica, come la intendo io, è una partecipazione aperta, trasparente e inclusiva. Non solo le per diverse fasce di età ma anche per le diverse categorie sociali, demografiche, economiche. E questo comporta anche un’organizzazione molto complessa per i Comuni che di certe scale.”

Questa ricerca è stata anche presentata in diverse sedi, tra cui il Politecnico di Milano, la Triennale, la Sede della Commissione Europea e l’ultimo forum del Centro nazionale della biodiversità.

Guardare al futuro: città più verdi, inclusive e consapevoli

Per rendere le nostre città più sostenibili e accoglienti per la biodiversità serve una trasformazione profonda, ma anche tante azioni quotidiane. Secondo Israa Mahmoud, è fondamentale non perdere il momentum generato dal lavoro del National Biodiversity Future Center, sfruttando ogni occasione, dalla ricerca alle scuole, per avvicinare le persone alla natura.

La natura fa bene a noi, ma anche noi dobbiamo fare qualcosa per lei. Dobbiamo ascoltarla, portarla al tavolo del dialogo con cittadini, Comuni e amministrazioni.

Il cambiamento parte dalle comunità, dai quartieri, dalle scelte locali. E se ci fosse una misura obbligatoria da adottare in ogni città? Israa ha le idee chiare:

“Metterei delle oasi di farfalle. Avere più spazi colorati, più fiori, può essere già un’oasi per la natura dentro la città.”

Per lei, ogni gesto conta. Ogni piccolo spazio fiorito è un invito alla vita: un atto d’amore verso la biodiversità, e verso noi stessi.

Su questi temi è appena uscito il libro Città biodiverse Politiche, piani, progetti e processi di co-creazione (Mimesis, 2025), scritto da Israa e da altri ricercatori del Centro Nazionale Biodiversità.


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