La durata d’immersione: classi e specie tra predisposizioni organiche e caratteristiche specifiche

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Perché alcune specie di endotermi riescono a restare immerse a lungo nonostante una scarsa predisposizione a trattenere il fiato?


E’ noto che le prime forme di vita sulla Terra si siano originate nelle acque e solo in seguito, e soltanto alcune di esse, siano andate progressivamente diffondendosi sulle terre emerse. Successivamente  diverse specie appartenenti a gruppi più disparati (dagli insetti ai mammiferi), pur essendosi evolute per respirare aria, hanno continuato o ripreso ad avere uno stretto legame con l’ambiente acquatico. Alcune di esse, per motivi vari, hanno mostrato un comportamento tale che a una maggiore capacità di trattenere il fiato in immersione corrispondesse un vantaggio di qualche tipo, ad esempio riproduttivo o nutrizionale.

Gli endotermi sono organismi la cui termoregolazione dipende dal calore metabolico interno, come nella classe dei mammiferi, mentre la temperatura degli organismi ectotermi dipende dal calore esterno come nella classe dei rettili. In entrambe le tipologie di termoregolazione gli organismi mostrano il medesimo processo metabolico dell’ossigeno, tuttavia gli ecotermi manifestano tassi di metabolismo più bassi, ovvero un minore consumo di energia, e dunque una migliore predisposizione a trattenere il fiato. Questo pattern molto generale è stato recentemente confermato in una ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences.

Nello studio, però, mediante l’analisi comparativa tra vertebrati endotermi ed ectotermi, viene data informazione dell’adattamento attraverso cui alcune specie endoterme sono riuscite ad ottenere durate di immersione strabilianti. La durata dell’immersione dipende infatti solo originariamente dalle relazioni tra organismo e processo metabolico dell’ossigeno, ma è poi determinata in modo rilevante anche da altre caratteristiche dell’animale. Uno dei fattori che influiscono maggiormente sull’abilità di restare in immersione, e sul quale i ricercatori si sono soffermati, è lo stoccaggio dell’ossigeno. La capacità di trattenere questo elemento condiziona il tempo dell’immersione, così, dato che per stoccare notevoli quantità di ossigeno sono necessarie grandi dimensioni, gli endotermi dalla grossa taglia come i cetacei risultano avvantaggiati nell’apnea.

Per una serie di motivi vari e non collegati, o perlomeno non collegati esclusivamente, a una selezione positiva legata ai vantaggi del prolungamento dell’immersione, alcune specie endoterme come le balene hanno aumentato di molto il proprio volume, e, raggiungendo grandi dimensioni corporee, hanno superato in apnea il confronto con molte specie ectoterme.

Quello che definiamo come un vantaggio o una funzione raramente evolve facendo universalmente perno su un solo fattore. Il perfezionamento dell’apnea dei cetacei si è potuto verificare anche in assenza di un cambiamento del processo metabolico dell’ossigeno. L’accrescimento delle dimensioni non è stato probabilmente innescato da una selezione positiva sulla capacità di stoccare ossigeno né sul rendimento della respirazione, ma di processi evolutivi che hanno altre cause, per molti aspetti ancora da chiarire. Nondimeno, queste cause hanno permesso di migliorare la capacità di immersione in modo che questa attività potesse risultare in qualche modo utile e vantaggiosa.

È l’insieme organico a determinare in modo dinamico quella che sarà l’evoluzione complessiva dell’organismo, e se pensiamo che quell’insieme è parte di un ambiente e di una popolazione ci rendiamo conto, in modo ancora maggiore, di come l’evoluzione sia tutt’altro che lineare e predeterminata. Proprio come in questo confronto, nonostante una migliore predisposizione iniziale, molte specie ectoterme hanno oggi durate di immersione inferiori a quelle degli endotermi che hanno aumentato considerevolmente la propria mole. Ma, nell’evoluzione ci sono svariati fattori determinanti, e così come non vi è una diretta relazione tra predisposizione originaria e durata di immersione, non vi è nemmeno una correlazione lineare tra le dimensioni dell’organismo e la durata dell’apnea. Ad esempio un gruppo di ricercatori della Duke University ha recentemente assegnato allo zifio (Ziphius cavirostris) il record di immersione tra i mammiferi, come pubblicato sul Journal of Experimental Biology. Con un peso medio di 3 tonnellate lo zifio resta immerso più a lungo della balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) che riesce a superare abbondantemente le 100 tonnellate.


Riferimenti:

Verberk, W.C.E.P., Calosi, P., Brischoux, F., Spicer, J.I., Garland, T., Bilton, D.T. Universal metabolic constraints shape the evolutionary ecology of diving in animals. Proceeding of the Royal Society B: Biological Sciences. 27 May 2020

Quick, N.J., Cioffi, W.R., Shearer, J.M., Fahlman, A., Read, A.J.. Extreme diving in mammals: first estimates of behavioural aerobic dive limits in Cuvier’s beaked whales. Journal of Experimental Biology. 23 September 2020


Immagine: NOAA Photo Library, Public domain, via Wikimedia Commons