La genetica per combattere l’invasione dei calabroni

calabrone zampe gialle

Lo studio del genoma è importante per capire i motivi del successo ecologico dei calabroni e identificare le possibili strategie per contenere la loro invasività fuori dall’habitat originario

Un team internazionale ha per la prima volta sequenziato e paragonato il genoma di alcune specie di calabroni per capire i motivi del successo ecologico di questi insetti e identificare le possibili strategie per contenere le specie invasive. Alla ricerca, pubblicata su Scientific Reports e coordinata dall’Università di Pisa nell’ambito di un ampio partenariato che comprende l’University College London, hanno contribuito Federico Cappa e Rita Cervo, del Dipartimento di Biologia. Lo studio ha riguardato Vespa crabro, una specie nativa dell’Europa, e il calabrone dalle zampe gialleVespa velutina, specie nativa del Sud Est Asia che negli ultimi venti anni si è diffusa in gran parte dell’Europa occidentale, minacciando l’apicoltura e gli impollinatori selvatici. Il genoma di queste due specie è stato quindi sequenziato e paragonato a quello di Vespa mandarinia, una specie anch’essa nativa dell’Asia, arrivata recentemente negli Stati Uniti, dove potrebbe rappresentare un rischio per la biodiversità locale.
“In quanto predatori, i calabroni sono dei ‘disinfestanti naturali’ nei loro ecosistemi nativi, aiutando a regolare varie popolazioni di insetti che possono essere localmente nocivi, come ad esempio i bruchi di alcune farfalle e falene – spiega Alessandro Cini, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – e tuttavia come specie invasive hanno talvolta effetti economici, ecologici e sociali molto negativi negli habitat che colonizzano”.

Capire perché i calabroni sono invasori così efficaci è dunque fondamentale per gestire le invasioni future e ridurre al minimo l’impatto sulla biodiversità nativa. Da questo punto di vista, la conoscenza dettagliata delle caratteristiche genetiche e genomiche delle diverse specie è basilare.

“Il nostro studio suggerisce per esempio che i calabroni possano avere numerosi geni coinvolti nella rilevazione dei segnali chimici dell’ambiente – dice Cini – e questo potrebbe renderli particolarmente bravi a cacciare nuove prede in ambienti non nativi, dove spesso arrivano trasportati accidentalmente dall’uomo. Bastano infatti solo alcune regine, magari nascoste in qualche carico di merci, per dare il via ad una nuova invasione. Ovviamente, questi dati genetici andranno integrati con analisi etologiche ed ecologiche sul campo”.


“Il calabrone dalle zampe gialle continua la sua avanzata sul territorio italiano – aggiunge Federico Cappa, ricercatore del Dipartimento di Biologia Unifi – la specie è presente con un numero sempre crescente di colonie in Liguria e Toscana, oltre a segnalazioni puntiformi in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Data la sua rapida espansione, risulta fondamentale la messa a punto efficaci strategie di monitoraggio e gestione sostenibile per salvaguardare il settore apistico italiano e gli impollinatori nativi”.

Gli autori dello studio fanno parte della rete nazionale Stopvelutina, un network di studiosi e portatori di interessi che da anni monitora la diffusione del calabrone invasivo Vespa velutina, valutando possibili tecniche di controllo e sensibilizzando la popolazione riguardo a questa minaccia per l’apicoltura e per la biodiversità.

Riferimenti:

Favreau, Emeline, et al. “Putting hornets on the genomic map.” Scientific Reports, vol. 13, no. 6232, 21 Apr. 2023, pp. 1-12, doi:10.1038/s41598-023-31932-x.

Immagine: Laura Bortolotti, via Unifimagazine

Fonte: Unifimagazine – Università degli Studi di Firenze, pubblicato sotto Licenza Creative Commons Attribution ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0).