La monogamia favorì l’eusocialità
Numerose specie di insetti, in particolare imenotteri (Ordine Hymenoptera), vivono in gruppi eusociali, gruppi suddivisi in caste riproduttive, in cui numerosi individui sterili, le operaie, concorrono all’erogazione di cure parentali verso la prole altrui, in questo caso la regina, unico individuo in grado di riprodursi. Che cosa spinge dunque le operaie a non riprodursi ma ad aiutare la regina? O […]
Numerose specie di insetti, in particolare imenotteri (Ordine Hymenoptera), vivono in gruppi eusociali, gruppi suddivisi in caste riproduttive, in cui numerosi individui sterili, le operaie, concorrono all’erogazione di cure parentali verso la prole altrui, in questo caso la regina, unico individuo in grado di riprodursi. Che cosa spinge dunque le operaie a non riprodursi ma ad aiutare la regina? O meglio, in che modo questo comportamento consente la massimizzazione della fitness delle caste non riproduttrici?
La teoria più accreditata è quella della cosidetta selezione di parentela (“kin selection“), che ipotizza che gli individui non riproduttori, non potendo incrementare la propria fitness diretta (quella calcolata sulla propria prole), aumentano quella indiretta, o inclusiva, contribuendo alla cura della prole di indiviudi strettamente imparentati. Nel caso di api, vespe e formiche, infatti, le opearie non sono altro che le figlie della regina e concorrono dunque ad allevare proprie sorelle. Nel corso dell’evoluzione, quando i vantaggi di questo comportamento hanno superato i benefici di una riproduzione propria, l’eusocilaità è stata favorita dalla selezione naturale.
Un gruppo di ricercatori della University of Leeds ha analizzato quali fattori potrebbero aver contribuito all’evoluzione di questa organizzazione sociale, focalizzando la propria attenzione sui comportamenti sessuali degli individui riproduttori. Hanno ipotizzato che, data l’importanza delle relazioni di parentela per l’origine delle società eusociali, la selezione verso l’accoppiamento con un solo maschio (monogamia) avrebbe senza dubbio favorito l’insorgere dell’eusocialità: infatti, se tutte le operaie risultano figlie della regina e di un solo maschio, anche il coefficiente di parentela tra esse sarebbe molto più elevato. Al contrario, la situazione in cui la regina si accoppia con più maschi (poliandria), con conseguente maggiore variabilità tra le operaie e quindi un minor livello di parentela tra esse, non avrebbe dovuto incentivare l’organizzazione in caste riproduttive.
Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno valutato il sistema sessuale di ben 267 specie di imenotteri eusociali, prendendo in considerazione tutte le famiglie in cui è presente questa organizzazione sociale, verificando che la grande maggioranza di queste erano monogame. Un quarto di esse è risultato facoltativamente poliandrica (che si accoppiano con 1 o 2 maschi), mentre in soli 9 casi si è assistito ad un alto livello di poliandria (le femmine si accoppiavano con più di 2 maschi).
Posizionati questi dati su un albero filogenetico i ricercatori hanno potuto affermare che la monogamia è stato il sistema nuziale ancestrale quando comparve l’eusocialità in tutti i gruppi di imenotteri. La poliandria rappresenta invece un sistema sessuale sviluppatosi solo successivamente quando la società eusociale era ormai consolidata.
Questi risultati, conclude l’articolo pubblicato sull’ulimo numero di Science, indicano che la kin selection e lo stretto grado di parentela avrebbero giocato un ruolo chiave nell’evoluzione dell’eusocialità.
Andrea Romano
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.