L’alba della storia: la rivoluzione neolitica che ci ha resi ciò che siamo

L'alba della storia

Dalla Mezzaluna Fertile all’Europa, Guido Barbujani racconta come la sedentarietà e le prime coltivazioni abbiano trasformato l’umanità, gli animali e le piante, cambiando per sempre il nostro destino

Titolo: L’alba della storia. Una rivoluzione iniziata diecimila anni fa

Autore: Guido Barbujani

Editore: Laterza Bari

Anno: 2024

Pag.: 201

Terra. Ultimi diecimila anni, circa. La rivoluzione climatica, scientifica, tecnologica e sociale a cui, volenti o nolenti, partecipiamo, non è la prima. Forse ragionare su una rivoluzione che l’ha preceduta, anche se nella preistoria, può aiutarci a capire un po’ meglio cosa ci sta succedendo, e quindi a discriminare fra preoccupazioni giustificate (tantissime) e ansie infondate (parecchie anche loro).

Le trasformazioni che si misero in moto nel neolitico diecimila anni fa ancora influenzano il nostro modo di lavorare, di vestirci, di mangiare, di confrontarci con gli altri membri della nostra comunità. La rivoluzione neolitica ci ha cambiato i geni e qui il “ci” si riferisce proprio a tutti: umanità, animali e piante. Gruppi di individui della nostra specie si mettono a produrre il cibo di cui hanno bisogno, coltivando campi e allevando bestie e bestiole. Prima nel vicino Oriente, nella cosiddetta Mezzaluna Fertile e in Anatolia; qualche millennio dopo in Cina; ancora qualche millennio più tardi nell’America centrale e nelle Ande; e infine più o meno dappertutto. Con la maggiore disponibilità di cibo, la popolazione, piano piano, cresce. Le comunità diventano sedentarie: prendono forma i primi villaggi, che nei casi più fortunati daranno vita alle prime città. Ci si specializza in attività e arti connesse e ordinate, le società si articolano e strutturano. Genetisti e archeologi hanno, in particolare, ricostruito una grande migrazione demica dall’Anatolia verso Grecia e Cipro, poi verso l’Europa prima orientale e poi occidentale fino alla Spagna, ancora poi verso nord Europa e isole britanniche. Sulle gambe dei rivoluzionari, i primi agricoltori del vicino oriente, i geni delle prime popolazioni anatoliche sono penetrati, diluendosi a poco a poco, nelle popolazioni europee, cambiando mezzi di sussistenza e aspetto, paesaggi e stili di vita, una svolta cruciale, tale da segnare il limite fra un prima, la vecchia età della pietra, cioè il paleolitico, e un dopo, la nuova età della pietra, cioè il neolitico.

Il grande scienziato genetista Guido Barbujani (Adria, Rovigo, 1955) ha insegnato a New York e Londra, a Padova e Bologna, ora a Ferrara; da molti decenni studia e lavora sul DNA; con l’usuale chiarezza divulgativa, il suo nuovo libro si concentra sui millenni dopo la fine dell’ultima glaciazione, con enfasi forse eccessiva sullo spartiacque storico evoluzionistico (da cui il titolo). I sette capitoli descrivono come il neolitico abbia rivoluzionato, tramite le migrazioni, i geni delle piante (il secondo), degli animali (quinto) e dell’umanità (quarto), abbia rinnovato parallelamente le nostre relazioni sociali (terzo) e le nostre lingue (sesto), mettendoci di fronte a situazioni inedite (primo), che però hanno a che vedere con il presente e addirittura con il futuro (settimo). Una nota “per saperne di più” si trova in fondo a ogni capitolo, con un’aggiornata bibliografia essenziale per paragrafi, spunti e citazioni del testo, accompagnato anche da qualche utile figura e mappa colorata. Ogni tanto appare una parola in arancione, che rinvia al piccolo glossario finale di oltre cento termini o categorie o concetti (da “adattamento” a “Yamnaya“) spiegati con qualche frase (in modo impreciso nel caso di “migrazione”, che qui diventa ogni “spostamento di individui o popolazioni attraverso lo spazio geografico”; nel testo l’uso è invece quasi sempre corretto e pertinente). La genetica ha davvero molto a che fare con la nostra vita, l’autore ricorda anche aneddoti, aspetti e controversie del proprio percorso scientifico: ancora non siamo riusciti a tracciare una linea chiara fra ciò che è utile o lecito fare delle nostre biotecnologie, ma neanche a prevedere quanto si nasca intelligenti, o timidi, o propensi ad ammalarci di certe malattie, e quanto invece lo si diventi. Possiamo invece dire con tranquillità che la sostituzione etnica è una bufala, e che le discussioni sulle razze umane andrebbero lasciate alle spalle perché non portano a niente e non servono a niente. Ribadisce Barbujani: la conoscenza e la scienza sono il vero terreno comune su cui incontrarsi.