L’apprendimento sociale migliora le abilità cognitive negli oranghi

800px Sumatran orangutan family in Toronto Zoo

Un esperimento condotto negli zoo evidenzia come la tendenza ad apprendere dai propri conspecifici influenza lo sviluppo dell’intelligenza in due specie diverse di oranghi

Secondo l’ipotesi dell’intelligenza culturale, quando all’interno di una specie vi sono molte occasioni di apprendimento tramite le interazioni sociali, l’accumulo di queste esperienze facilita lo sviluppo di capacità di apprendimento individuale e di problem solving nei singoli appartenenti a quella specie. A sua volta, questo amplia il pool di competenze all’interno di una popolazione, fornendo così agli individui maggiori possibilità di apprendimento, e così via in un circolo vizioso.

Questa ipotesi è supportata da osservazioni condotte sia sugli umani, sia su altri primati, ma resta da indagare a fondo la sua dimensione evolutiva; in altre parole, bisogna verificare che la presenza di relazioni sociali intense all’interno delle popolazioni di una specie sia correlata con l’esistenza di meccanismi che selezionano come più adatti gli individui che si distinguono per le loro abilità cognitive (siano esse più variegate, più complesse o più precoci). Questo, sul lungo periodo, porterebbe in generale ad aumentare le prestazioni cognitive innate negli individui di una specie, insieme alle dimensioni del loro cervello e alla loro tendenza all’esplorazione di situazioni innovative.

Per questo motivo, un gruppo di ricerca guidato dalla dott.ssa Forss dell’Università di Zurigo ha deciso di effettuare un confronto sistematico tra le abilità cognitive di due specie di orangutan, l’orango di Sumatra (Pongo abelii) e l’orango del Borneo (P. pygmaeus). Tra le due specie, i primi sono più socievoli allo stato brado, mentre i secondi sono più solitari. Poiché le dimensioni del cervello nelle due specie di orangutan sono molto simili, quello che viene esaminato è l’effetto delle interazioni sociali prima dell’insorgenza di differenze pronunciate nelle dimensioni cerebrali. I risultati dei test sono stati pubblicati lo scorso mese sulla rivista Scientific Reports, rivista appartenente al gruppo di Nature.

Per verificare l’esistenza di differenze nelle capacità delle due specie, gli individui sono stati sottoposti a diversi test che comprendevano sia l’uso di strumenti conosciuti, sia l’introduzione di un nuovo cibo e di un nuovo strumento. Poiché l’ambiente di crescita può influire in modo significativo sullo sviluppo di abilità cognitive, sono stati scelti una trentina di esemplari nati e ospitati all’interno di diversi zoo per ottenere delle condizioni di vita il più omogenee possibile.

I test mostrano come in genere gli oranghi di Sumatra riescano a risolvere un determinato compito molto più facilmente e/o più rapidamente delle loro controparti del Borneo. Messi di fronte a un cibo nuovo, gli oranghi di Sumatra impiegano più tempo per decidere di provare a mangiarlo, mostrando più cautela; questo esclude che le prestazioni migliori nel problem solving siano dovute a una riduzione della “paura del nuovo”, anzi le specie più gregarie tendono a fare affidamento su segnali sociali prima di intraprendere azioni nuove.

Infine, gli oranghi di Sumatra hanno mostrato un miglior funzionamento di quello che viene definito “apprendimento inibitorio”, ossia della capacità di prevedere quando un evento desiderato non si verificherà: nel caso specifico, a capire se sollevando dei coperchi marcati con un certo codice di colore avrebbero trovato il cibo desiderato. In questo esperimento, gli oranghi del Borneo hanno sollevato coperchi di colore sbagliato molto più frequentemente.

Lo studio ha escluso che le differenze registrate siano dovute a differenze ambientali o a differenze innate nelle capacità manuali delle due specie, che sono analoghe in quanto gli strumenti impiegati sono di uso comune per gli appartenenti a entrambe le specie.

In conclusione, questo confronto tra le performance cognitive rappresenta conferma empiricamente (per la prima volta in specie non umane) l’ipotesi dell’intelligenza culturale, secondo cui le capacità cognitive in una specie possono essere favorite, su tempi scala evolutivi, da occasioni frequenti di apprendimento sociale combinate con un pool esteso di competenze all’interno di una popolazione: in altre parole, non solo una migliore intelligenza permette di imparare in modo più efficiente, ma vale anche il contrario.


Riferimenti:
Forss, S. I. F. et al. Cognitive differences between orang-utan species: a test of the cultural intelligence hypothesis. Sci. Rep. 6, 30516; doi: 10.1038/srep30516 (2016).

Immagine di Jeffery J. Nichols – CC BY-SA 3.0