Le più antiche tracce dei vertebrati delle profondità marine
Dalle rocce dell’Appenino emergono le prime testimonianze fossili di pesci abissali: avevano colonizzato i fondali marini già all’inizio del Cretacico
L’oceano Tethys occidentale e la datazione
Le tracce sedimentarie rinvenute durante la ricerca (e studiate in loco senza ulteriori rimaneggiamenti) provengono da una unità geologica (Palombini Shale Formation) di acque profonde affiorata, in Italia, negli Appennini settentrionali. In particolare, i dati derivano da un piccolo bacino (Oceano Ligure – Piemontese) apertosi durante il Giurassico e, a tutti gli effetti, considerato un ramo di quello che era l’oceano Tetide occidentale. Per giungere alla conclusione che le macro tracce rinvenute nei pressi dei tre siti paleontologici di Piacenza, Modena e Livorno appartenessero al periodo geologico ipotizzato (Hauteriviano – Barremiano, primo Cretacico), sono state condotte analisi deposizionali, di stratigrafia e di tettonica in un’area di ben 5000 km2 che ha compreso le regioni dell’Emilia Romagna, della Liguria e della Toscana. Per gli studi specifici sulla datazione, sono invece stati analizzati i numerosi nanofossili ritrovati a Vezzano sul Crostolo. Per quanto riguarda i dati diretti della Palombini Shale Formation, tramite indagini filogenetiche ed evoluzionistiche, si sono riscontrati dodici, ben distinguibili, icnotaxa e, tra tutte le tracce biogeniche raccolte, molto sorprendentemente, tre sono morfologicamente molto simili a quelle lasciate da moderni pesci demersali. In ultima analisi, le tracce dell’unità geologica studiata sono state confrontate con le impronte moderne lasciate da alcune specie di pesci (in un range di profondità tra i 3 e i 10 m) presenti a Paraggi, Spotorno, Grado e, in Spagna, all’estuario di Piedras. Per un paragone più ampio, infine, le tracce sono anche state confrontate con quelle derivate dal comportamento simulato di alcuni pesci abissali (Olocefali e Neoteleostei), assenti nel Mediterraneo, ma dalle abitudini e dall’alimentazione molto simili.Gli icnofossili direttamente dal Cretaceo
Con “icnofossili” non vengono indicati i fossili nel vero senso del termine (ovvero i resti biologici fossilizzati di un organismo), ma ci si riferisce alle tracce indirette dell’attività bio – ecologica di una forma di vita ancestrale: il prefisso della parola deriva dal greco ikhnos, cioè “traccia”. La ricerca riporta ciò che resta dell’attività di scavo boccale sul fondale di antichi pesci demersali e dei loro percorsi per la ricerca di cibo nel substrato. Le strutture discoidali a forma di ciotola ritrovate (anche dette strutture di bioperturbazione del fondale) nella Palombini Shale Formation, concave verso l’alto, sono riconducibili all’alimentazione di alcuni pesci che utilizzano un flusso d’acqua per muovere le particelle di sedimento e cercare cibo tramite le pinne e/o i barbi. Spingendo il capo nel sedimento, gli antichi pesci demersali (come quelli moderni, anche se con forme e grandezze variabili) hanno formato delle “piccole pozze” di un diametro, in media, di 31 mm. Queste antiche tracce sono state comparate con quelle che vengono prodotte, per esempio, dal moderno pesce capra (Mullus sp.) e dai cefali. Più precisamente, sembrerebbe che questi resti indiretti facciano riferimento all’icnogenere Piscichnus, le cui tracce odierne risalirebbero a quelle lasciate dalle razze, dalle mormore e dagli storioni. Spesso, i piccoli pozzi derivanti l’attività di scavo dei pesci, sono accompagnati anche da un paio di solchi, generalmente paralleli tra loro (di 86 mm di lunghezza e 28 mm di larghezza, in media), separati da una cresta di sedimenti. Queste tracce sembrerebbero derivare da una “attività di rastrellamento” effettuata, per esempio e similmente, dai pesci Sparidi (Diplodus vulgaris) e dagli Olocefali (il cui metodo di ricerca di cibo è stato simulato e studiato nella regione abissale della Kermadec Trench, nell’oceano Pacifico) utilizzando i denti incisivi superiori. Infine, un’ulteriore traccia biogenica dell’attività dei pesci dell’era Cretacica è rappresentata da scanalature sinusoidali “incise” nel sedimento, le cui lunghezze d’onda sono, in media, di 156 mm. Questi solchi fanno riferimento ai sentieri di alimentazione dei vertebrati, qui in particolare riferibili all’icnogenere Undichna, e formatesi grazie al contatto tra la pinna caudale (o anale) e il fondale marino.Una nuova documentazione cruciale della colonizzazione dei fondali
Le tracce biogeniche descritte nella pubblicazione non solo danno cruciali e nuove informazioni sul comportamento dei pesci abissali, ma validano anche l’ipotesi che i vertebrati abbiano colonizzato i fondali marini già all’inizio del Cretacico, anticipando quindi di ben 80 milioni di anni lo spostamento eco – evoluzionistico di questi animali dalle piattaforme continentali verso gli abissi. Andrea Baucon, paleontologo presso l’UNESCO Geopark Naturtejo e primo autore della ricerca, nel comunicato stampa sottolinea:“I nuovi fossili mostrano l’attività dei pesci su un fondale marino dell’era dei dinosauri che era profondo migliaia di metri”
Va sottolineato che la scoperta, seppure ancora molto recente, ha portato alla luce particolari segni ancestrali che determinano un punto critico di transizione. Viene infatti scandito un prima e un dopo tra il momento in cui i vertebrati acquatici si sono spostati dalle acque poco profonde e il loro arrivo a migliaia di metri sotto l’Oceano Ligure – Piemontese, dove le condizioni di luce e temperatura erano decisamente estreme. L’ipotesi che potrebbe spiegare il motivo scatenante dell’allontanamento dei vertebrati dalle coste sarebbe il massiccio apporto di materia organica verificatosi tra Giurassico e Cretacico. Un’aumentata attività e una maggiore concentrazione di organismi vermiformi sul fondale marino sembrerebbero le ragioni principali che hanno spinto i pesci ad adattarsi a nuovi ambienti di profondità e a modificare il loro primitivo stile di vita. Per il team di ricercatori, è stato illuminante guardare al passato con una chiave moderna. Confrontare le tracce lasciate dai vertebrati di milioni di anni fa con quelle dei pesci demersali moderni è stato, non solo utile, ma anche essenziale per iniziare a capire le prime fasi di diversificazione di questi animali abissali dell’età dei dinosauri. I resti fossili Appenninici, quindi, fanno luce sulle origini della biodiversità, sulla ecologia e sullo stile di vita dei primi vertebrati colonizzatori degli abissi, apportando interessanti implicazioni sia per le Scienze della Terra che per le Scienze della Vita. Riferimenti: Baucon, A., Ferretti, A., Fioroni, C., Pandolfi, L., Serpagli, E., Piccinini, A., …Priede, I. (2023). The earliest evidence of deep-sea vertebrates. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A., 120(37), e2306164120. doi: 10.1073/pnas.2306164120 Immagine in apertura: Il sito paleontologico di Quercianella. Andrea Baucon sta studiando le tracce fossile prodotte da pesci dell’era dei dinosauri: sono quelle dei più antichi vertebrati di mare profondo, Image credit: Andrea Baucon da https://www.tracemaker.com/paleontologia/
Laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli studi di Pavia, si iscrive al corso di laurea magistrale in Biodiversità ed Evoluzione Biologica alla Statale di Milano. Amante del mare e della fotografia è da sempre appassionata di letteratura e divulgazione scientifica.