Un nuovo organello azotofissatore nelle alghe marine si è evoluto da un batterio per endosimbiosi
Un cianobatterio ha dato origine a un nuovo organello nell’alga marina unicellulare Braarudosphaera bigelowii. Soprannominato “nitroplasto”, è in grado di fissare l’azoto e in futuro potrebbe aiutare a ridurre l’utilizzo di fertilizzanti
Una cellula batterica può trasformarsi in un organello della cellula ospite se viene trasferita anche alle generazioni successive e se la sua attività dipende dalle proteine dell’ospite.
Si tratta di un evento evolutivo raro ma è accaduto all’endosimbionte UCYN-A, che si pensava fosse un cianobatterio simbionte obbligato in grado di vivere all’interno o sopra l’alga marina Braarudosphaera bigelowii. UCYN-A, infatti, è in grado di convertire l’azoto in composti che le alghe usano per crescere (per esempio l’ammoniaca) e in cambio ottiene dall’alga le molecole di carbonio, che non è più in grado di produrre attraverso la fotosintesi.
Un recente studio, condotto da Tyler Coale dell’Università della California e colleghi e pubblicato su Science, ha però rivelato che la relazione tra l’alga e UCYN-A è molto più intima. Usando tecniche di imaging basate sulla tomografia a raggi x molli (SXT) e analisi proteomiche, i ricercatori hanno accertato che UCYN-A è localizzato all’interno della cellula (ne costituisce l’8% del volume) e non sopra, e fa un ciclo di divisione cellulare coordinato a quello della cellula algale: la maggior parte delle proteine necessarie per le sue attività provengono proprio da quest’ultima. Molto di più di una simbiosi.
Come ha raccontato Coale a Carissa Wong su Nature News, questa scoperta non sarebbe stata possibile senza il lavoro della ricercatrice Kyoko Hagino dell’Università di Kochi, in Giappone, coautrice dello studio, che ha per dieci anni messo a punto un metodo per osservare crescere l’alga in laboratorio.
Secondo questi risultati UCYN-A sarebbe quindi un vero e proprio organello, a cui gli autori danno il nome di nitroplasto. Sappiamo, da studi precedenti, che gli antenati di queste alghe e di UCYN-A sono entrati in relazione simbiotica circa 100 milioni di anni fa, e questo avrebbe poi portato all’evoluzione della struttura azotofissatrice.
Lo studio dimostra anche che la fissazione dell’azoto non è un’esclusiva di batteri e archaea, ma può esistere anche negli eucarioti: questo getta le basi per un possibile futuro utilizzo del nitroplasto nelle piante terrestri, limitate nella crescita dalla poca disponibilità di azoto organico. In teoria, grazie all’ingegneria genetica potrebbe essere possibile introdurre l’organello nelle piante terrestri con il trasferimento di geni che codificano per il nitroplasto.
Questo potrebbe ridurre l’utilizzo di fertilizzanti azotati nelle coltivazioni, ottenendo benefici economici e ambientali. Secondo Eva Nowack, studiosa di batteri simbionti presso l’Università Heinrich Heine di Düsseldorf in Germania, interpellata da Nature News, la parte più difficile sarebbe appunto riuscire a trasferire stabilmente i geni dell’organello da una generazione all’altra delle piante coinvolte.
Sfida complessa, ma che forse vale la pena tentare per gli enormi vantaggi che porterebbe all’ambiente.
Riferimenti: Coale, T. H., Loconte, V., Turk-Kubo, K. A., Vanslembrouck, B., Mak, W. K. E., Cheung, S., …Zehr, J. P. (2024). Nitrogen-fixing organelle in a marine alga. Science, 384(6692), 217–222. doi: 10.1126/science.adk1075
Immagine: copertina di Science dedicata alla ricerca
Laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli studi Roma Tre, proseguo nella stessa università con il corso di laurea magistrale in Biologia Molecolare, Cellulare e della Salute. Durante la stesura della tesi triennale che ha come argomento l’evoluzione umana, mi appassiono al tema e ne voglio sapere di più, e, se possibile, scriverne. Amo la scienza, la natura, l’arte, la scrittura.