L’insegnamento di Alberto Piazza (1941-2024)
Alla fine degli anni ’70 il lavoro di Alberto Piazza e colleghi rivoluzionò la genetica delle popolazioni umane. Pezzo dopo pezzo ha riportato alla luce tracce del cammino dell’umanità che né le fonti storiche né quelle archeologiche avrebbero potuto svelare da sole
Una sera, dopo cena, in qualche parte del mondo (ricordo che eravamo a un congresso, e che sua moglie, Ada, era con noi) Alberto Piazza mi raccontò di quando la sua famiglia era scappata dall’Italia. Erano ebrei torinesi; c’erano state le Leggi Razziali e poi, nel 1943, l’ordinanza di internamento di tutti gli ebrei. Trovarono qualcuno disposto a fargli attraversare di notte il confine con la Svizzera, ma a metà strada questo qualcuno, dopo essersi intascato la ricompensa, si era dileguato. Persi in mezzo alle montagne, nel buio, i Piazza avevano proseguito alla cieca, ritrovandosi per pura fortuna, alla fine, dalla parte giusta. Alberto era del 1941, e quindi doveva avere due o al massimo tre anni, all’epoca: credo che mi stesse raccontando una storia di famiglia, non un ricordo suo. Però qualcosa di quello spavento forse era rimasto in lui. Quando parlava di eventi misteriosi o meravigliosi (nel suo mestiere era abituato a incontrarne) spalancava gli occhi, che le spesse lenti degli occhiali facevano sembrare enormi.
Ho passato molte belle sere insieme ad Alberto Piazza. Non ricordo quando ci siamo visti la prima volta; forse a un meeting del 1988 in cui aveva riunito genetisti, linguisti e archeologi (che non si erano capiti a vicenda, come avrebbero continuato a fare per un bel po’). Gli piaceva organizzare simposi, ad Alberto, o semplicemente far venire colleghi a Torino, per conferenze o seminari. Ha cominciato a invitarmi quando ero un ragazzotto in cerca di un suo spazio nella scienza, mentre lui era già un ricercatore affermato, con le sue due lauree e una posizione accademica solidissima. Qualcosa, non tanto, già la capivo, però: che bisognava proseguire sulla strada del famoso articolo del 1978, quello che aveva fatto la copertina di Science, firmato da Alberto Piazza insieme a Paolo Menozzi e Luca Cavalli-Sforza.
Quell’articolo ha segnato una svolta. La genetica di popolazioni, negli anni settanta, soffriva di una sconsolante povertà di dati. C’erano teorie, matematicamente sofisticate, sviluppate da ingegni sopraffini; ma gran parte di quelle teorie aspettava ancora una verifica sperimentale, perché faticavamo a studiare il DNA. In mancanza di meglio, si cercava di evitare che genitori portatori sani di una malattia genetica recessiva facessero figli malati, e in definitiva si calcolava quanto fossero consanguinee due persone prese a caso da questa o quella popolazione. Insomma, forse era un lavoro utile, certo non era appassionante.
Insieme a Paolo Menozzi e a Luca Cavalli-Sforza, Alberto Piazza intuisce che nelle nostre cellule c’è un messaggio dal passato, e che quel messaggio, a saperlo leggere, può rivelarci aspetti della nostra storia altrimenti impossibili da conoscere. Questo, secondo me, è il significato più profondo del loro articolo di Science. Al di là della novità metodologica, l’analisi delle componenti principali, a cui Alberto, fisico di formazione e quindi a suo agio con i numeri, ha dato un impulso decisivo; al di là della proposta di spiegare i gradienti genetici come frutto di una grande migrazione, una diffusione demica che ha portato in Europa l’agricoltura sulle gambe dei primi agricoltori; al di là anche del dibattito ancora in corso iniziato con questo primo studio sull’origine delle popolazioni europee e sulla loro storia migratoria; quell’articolo apre la strada a centinaia di altri studi interdisciplinari, in cui la genetica individua e riporta alla luce, pezzo dopo pezzo, tracce del cammino dell’umanità che né le fonti storiche né quelle archeologiche avrebbero potuto svelare da sole. Le mappe dei geni degli europei disegnate nel 1978 sono state ripetutamente aggiornate; si basavano su gruppi sanguigni e polimorfismi proteici, non potevano dare un’immagine impeccabile della diversità genetica. Eppure è da lì che la genetica delle popolazioni umane ha cominciato a diventare un tema di discussione non solo sempre più importante, ma anche sempre più popolare.
Portare il dibattito sulla genetica nelle classi delle scuole, sui libri, sui giornali e poi sulla rete, contava molto per Alberto Piazza. Come tutte le scienze, la genetica ha a che vedere con il contesto in cui viviamo, con la società nel suo complesso. Più di altre scienze, però, tocca da vicino temi che ci riguardano tutti: quanto siamo diversi fra noi, e come ha fatto a evolversi questa diversità, e che cosa ha a che vedere (secondo Piazza, e anche secondo me, niente) con i nostri diritti di individui e di cittadini. Come ha scritto un grande evoluzionista che non la pensava esattamente come noi, Theodosius Dobzhansky, siamo tutti quanti geneticamente diversi, ma uguali come esseri umani nella società e davanti alla legge.
Nella sua carriera, Alberto Piazza si è occupato di tante cose: dallo studio del sistema immunitario alla genetica delle popolazioni umane (la sua vera passione, credo), dalle malattie ad eziologia complessa ai confronti fra struttura genetica e variabilità linguistica, sempre mantenendosi fedele all’approccio quantitativo di cui era uno specialista. Ci ha lasciato oltre 150 articoli originali e tre libri, ma soprattutto un insegnamento che durerà a lungo: l’esempio di uno scienziato che vive nel suo tempo, partecipa delle inquietudini del suo tempo, e le affronta con senso critico e consapevolezza delle sue responsabilità.
Immagine in apertura: Alberto Piazza con la studentessa Alice Siciliano che, a completamento del suo elaborato d’esame, ha intervistato il genetista. Piazza, attraverso la narrazione della sua vicenda personale, spiega quanto la storia della genetica umana in Italia sia stata condizionata dagli eventi storici e culturali del Paese. Da https://www.youtube.com/watch?v=-dEK2vHpJJ4
Guido Barbujani è professore di Genetica all’Università di Ferrara. Si occupa delle origini e dell’evoluzione della popolazione umana. Ha pubblicato testi letterari, tra cui Questione di razza (Mondadori 2003 e Solferino 2023) e Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti (Einaudi 2022), e i saggi Lascia stare i santi (Einaudi 2014), Contro il razzismo. Quattro ragionamenti (con M. Aime, C. Bartoli e F. Falloppa, Einaudi 2016), Il giro del mondo in sei milioni di anni (con A. Brunelli, Il Mulino 2018), L’invenzione delle razze (Bompiani nuova edizione 2018), Sillabario di genetica per principianti (Bompiani 2019) e Europei senza se e senza ma (Bompiani nuova edizione 2021). Per Laterza è autore di Gli africani siamo noi. Alle origini dell’uomo (2016) e Sono razzista ma sto cercando di smettere (con P. Cheli, nuova edizione 2022). Il suo ultimo libro è Come eravamo – Storie dalla grande storia dell’uomo (Laterza, 2022).