Alla scoperta del denominatore comune alla base della produzione musicale: la condivisione

image

Ogni cultura presenta canti tipici, ma sono proprio così diversi? Un team di ricerca eterogeneo ha indossato i panni dei cantanti, per scavare più a fondo e svelare i segreti alla base della produzione musicale a livello globale.

La musica è una realtà universale. Ovunque sul globo, oltre ai brani pop più famosi e condivisi, sono diffusi canti appartenenti alla tradizione. Qualcosa li accomuna, nonostante i diversi linguaggi e le differenti provenienze. Qualcosa inoltre distingue le canzoni e le composizioni strumentali dalla lingua parlata ma di cosa si tratta? Saranno queste differenze a essere il punto comune alla base della produzione musicale dei vari paesi? Da questi interrogativi è nato uno studio internazionale, pubblicato su Science Advances, a cui ha preso parte, tra gli altri gruppi di ricerca, anche il team dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza.


Da scienziati a cantanti per la ricerca

75 i ricercatori coinvolti che si sono prestati a condividere i canti delle loro tradizioni popolari, provenienti da Asia, Africa, America, Europa e Pacifico, 21 le famiglie linguistiche prese in analisi. Più nel dettaglio, ogni partecipante ha registrato sé stesso mentre cantava una canzone tradizionale di sua scelta, ne recitava il testo, ne spiegava il significato e infine ha presentato anche una versione unicamente strumentale del brano. Di queste registrazioni sono state analizzate la tonalità, il ritmo e il timbro.

Le lingue dei partecipanti, includevano italiano, fiammingo, yoruba, mandarino, hindi, ebraico, arabo, ucraino, russo, balinese, cherokee, kannada, spagnolo, aynu, per un totale di 55 rappresentate. Nel team della Sapienza Andrea Ravignani ha suonato il suo sassofono tenore e ha cantato in italiano, mentre Yannick Jadoul ha suonato il piano e cantato in fiammingo. 

Comunicato stampa Università Sapienza

sciadv.adm9797 f2
La mappa (A) rappresenta la provenienza geografica dei ricercatori e le lingue delle canzoni tradizionali che hanno registrato. In basso la traduzione inglese delle parole più frequenti nei testi delle canzoni (B) e nelle loro descrizioni fornite dai ricercatori (C). Immagine: dalla pubblicazione


Piccole differenze che fanno la differenza

Dall’analisi delle tracce audio è risultato come, rispetto alle descrizioni parlate, nelle canzoni la tonalità utilizzata fosse più alta e mantenuta stabilmente, mentre il tempo più lento, la brillantezza del timbro e l’ampiezza di intervallo di tonalità scelto invece sono risultati equivalenti. Tra recitazione del brano e canzone invece, nelle prime tracce i tempi erano più lenti e le frasi più brevi, mentre le esecuzioni strumentali avevano generalmente una grandezza più estrema, intesa sia più grande che più piccola, rispetto al canto per ogni caratteristica, tranne che per la velocità. Dalle registrazioni, inoltre, si è potuto osservare come in genere le vocalizzazioni femminili fossero più acute di quelle maschili sia nel registro parlato che cantato, ma per quanto riguarda gli altri parametri presi in esame non sono state riscontrate particolari differenze, a indicare l’assenza di un particolare dimorfismo sessuale per questi aspetti. Analizzando i diversi linguaggi i ricercatori hanno notato come le diverse registrazioni parlate fossero più variabili e che il ritmo del canto è potenzialmente indipendente da quello del parlato anche quando è prodotto dalla stessa persona nella stessa lingua, il che suggerisce che il controllo temporale del canto e del parlato può obbedire a principi comunicativi diversi.


“Regole musicali” simili per lingue diverse

In linea generale quindi il registro cantato utilizza altezze maggiori rispetto a quello parlato, il tempo è più lento e le frequenze più stabili, mentre la brillantezza timbrica e gli intervalli di altezza sono simili. I ricercatori ipotizzano che l’uso di altezze più elevate nel canto possa anche contribuire a una comunicazione più efficace in quanto la sensibilità umana aumenta a frequenze maggiori.

Inoltre, una maggiore regolarità potrebbe favorire la sincronizzazione e, attraverso questa, i legami sociali, per esempio facilitando l’esecuzione corale in grandi gruppi. Queste analisi, quindi, hanno messo in evidenza come alla base della produzione musicale di ogni popolo ci siano regole di base diffuse universalmente, la cui finalità potrebbe essere la condivisione.


Riferimenti:

Yuto Ozaki, Adam Tierney et al., “Globally, songs and instrumental melodies are slower and higher and use more stable pitches than speech: A Registered Report.”, proceedings of Science Advances, 15 maggio 2024 doi: 10.1126/sciadv.adm9797

Immagine: in apertura creata con l’intelligenza artificiale di Jetpack