Anticoagulanti e fauna selvatica: il caso dei lupi

anticoagulanti

Le esche rodenticide a base di anticoagulanti usate nelle derattizzazioni possono colpire direttamente o indirettamente la fauna selvatica. Uno studio italiano rivela l’impatto sui lupi.

La complessità è una caratteristica distintiva del nostro paese e delle attività che vi insistono. Il territorio italiano per orografia, idrografia e abbondanza di tipologie di ambiente è estremamente articolato tanto che dal punto di vista naturale è un incredibile hot spot della biodiversità. Ne sono recenti testimonianza le espansioni naturali dall’Austria di specie come il castoro (Castor fiber) dopo un’assenza di oltre 500 anni (in aggiunta alle reintroduzioni non autorizzate in centro Italia) o dell’areale del lupo (Canis lupus) la cui popolazione oggi si stima possa aver superato le 3.600 unità quando negli anni ’70 si ipotizzava che non fossero più di un centinaio. Non si può dimenticare che la ricchezza in specie del nostro paese è anche dovuta allo sforzo continuo di tutela e salvaguardia delle specie protette, a rischio o minacciate.

L’altro aspetto della complessità è legato alla distribuzione delle città e delle attività economiche, spesso di grande valore aggiunto, come il comparto agroindustriale o manifatturiero. È proprio l’incontro tra la tutela della salute pubblica e delle imprese da una parte e la salvaguardia della fauna selvatica dall’altra che è di difficile gestione. Un aspetto poco conosciuto ma estremamente importante è il controllo delle specie infestanti – in particolare dei roditori – e delle conseguenze che questo può portare a specie protette come il lupo. Proprio questo aspetto è stato indagato da un recente lavoro portato avanti negli ultimi anni da un gruppo di ricercatori di diversi atenei ed istituti del centro-nord Italia e di Sassari. Lo studio parte dal fatto che è uso comune in Italia per il controllo dei roditori infestanti (in particolare Mus musculus, Rattus rattus e Rattus norvegicus) l’impiego di prodotti anticoagulanti di seconda generazione. I principi attivi di questi formulati commerciali – in massima parte bromadiolone, brodifacoum e difenacoum – hanno però la caratteristica di essere Persistenti, Bioaccumulabili e Tossici (PBT) e possono quindi portare all’accumularsi in altri animali che si sono nutriti direttamente delle esche rodenticide oppure che si sono nutriti dei roditori morti o morenti per aver ingerito sostanze anticoagulanti. 

Il caso del lupo

Lo studio, pubblicato su Science of The Total Environment, mira ad approfondire l’impatto degli anticoagulanti sulla fauna selvatica di grandi dimensioni come i lupi, ed è il primo lavoro condotto a livello Europeo su carnivori di grossa taglia. La ricerca ha coinvolto diverse regioni italiane: Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. In questi territori la densità dei lupi a varia da 4,9 a 13,2 individui ogni 100 kmq e il paesaggio è molto diversificato: si trovano ampie aree rurali, urbane e suburbane e parchi nazionali.
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Distribuzione dei lupi trovati morti nell’area di studio e risultati negativi (punti bianchi) o positivi (punti rossi) ai rodenticidi anticoagulanti (AR). Sono evidenziate le province delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana interessate dalla raccolta dati. La posizione dell’area di studio in Italia è mostrata nella figura in basso a sinistra. Immagine: dalla pubblicazione.

Sono state analizzate le carcasse dei 186 lupi rinvenuti dalle autorità nel periodo 2018-2022. I campioni sono stati sottoposti ad autopsia ed esami tossicologici per rilevare la eventuale presenza di coagulopatie e di rodenticidi, in particolar modo accumulati a livello del fegato. Sulla base dei risultati, sono stati elaborati anche dei modelli previsionali per determinare in quali ambienti i lupi siano più esposti agli anticoagulanti. Il 61,8% dei campioni analizzati (115 su 186) è risultato positivo alla presenza di almeno un principio attivo rodenticida e 19 di questi lupi sono morti a causa di coagulopatie.

Nr. di sostanze rilevateNr. di campioni positivi per sostanza
1 sostanza anticoagulante36
2 sostanze anticoagulanti47
3 sostanze anticoagulanti16
4 sostanze anticoagulanti16
I principi attivi più rappresentati sono stati il bromadiolone e il brodifacoum (61 casi ciascuno), seguiti dal difenacoum. In diversi casi si è però rilevata la presenza di più principi attivi contestualmente (2, 3 e anche 4). Questo testimonia l’alta capacità di queste sostanze di penetrare le reti trofiche fino ad arrivare alle specie considerate top predator, come i lupi.

Sostanza rilevataNr. di campioni positivi
Brodifacoum61
Bromadiolone61
Difenacoum20

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Concentrazioni previste di brodifacoum (a) e bromadiolone (b), espresse in microgrammi per kg, tra aree con diversi livelli di antropizzazione. Immagine: dalla pubblicazione

L’altro dato particolarmente significativo è che i lupi rinvenuti nelle aree antropizzate hanno maggiore probabilità di risultare positivi a due o più sostanze anticoagulanti di quelli rinvenuti in zone più remote, soprattutto nel periodo che va dalla fine dell’estate alla fine dell’inverno ovvero quando l’attività dei roditori interessa maggiormente i fabbricati. Dal 2020 in avanti in particolare questo rischio si è accentuato.
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Probabilità previste che i lupi risultassero positivi per un certo numero di rodenticidi anticoagulanti (AR), nel tempo. Immagine: dalla pubblicazione

La lettura d’insieme di questi risultati porta a diverse considerazioni. La prima è che, soprattutto in aree antropizzate, i lupi predano i roditori molto più di quanto si fosse immaginato in passato e le principali prede sono le nutrie e i roditori sinantropici come topi e ratti. Le nutrie – a differenza di topi e ratti – non possono essere controllate con l’utilizzo di derattizzanti. Pur trattandosi di una specie alloctona dannosa per gli ecosistemi acquatici e gli ambienti antropizzati (per via dei danni alle colture e agli argini dei fiumi) le grandi popolazioni di nutrie sono state considerate dalla legge 157/92 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per l’esercizio dell’attività venatoria” come fauna selvatica in quanto viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Per questo motivo esistono dei piani regionali ad hoc per il controllo della nutria basati sul Piano di gestione nazionale della nutria che però sono estremamente complessi da attuare. Resta il fatto che alcuni giornali locali hanno riportato la notizia del ritrovamento di bocconi avvelenati abbandonati a questo scopo. Questa pratica scorretta era molto in voga in passato – e tutt’ora non si può escludere che avvenga nonostante sia espressamente proibita – ed è molto difficile stimare la reale portata di questo evento. Basti pensare che il comune di Parma in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna IZSLER ha pubblicato sul proprio sito una guida per riconoscere i bocconi avvelenati: oltre il 70% dei campioni dei sospetti bocconi avvelenati consegnati all’IZSLER per la loro analisi è risultata negativa. Per certo i lupi risultati positivi agli anticoagulanti devono essersi nutriti o direttamente di esche sparse irresponsabilmente sul territorio o di roditori che avevano già consumato tali esche. La seconda considerazione deriva dalla prima: la penetrazione di queste sostanze attive nella rete trofica potrebbe minacciare in termini di conservazione le popolazioni di lupi italiane ed europee e anche quella di altri carnivori e rapaci. In ultimo dai dati empirici si può immaginare che la gestione dei prodotti rodenticidi anticoagulanti di seconda generazione per il controllo dei roditori sinantropici non avvenga sempre in maniera corretta, soprattutto in relazione al fatto che questi prodotti non agiscono in maniera specifica sui soli organismi bersaglio (Mus musculus, Rattus rattus e Rattus norvegicus) e sono di facile reperimento sul mercato.

Le norme di riferimento

Proprio la pericolosità intrinseca dei rodenticidi anticoagulanti sono disponibili numerosi documenti ufficiali in materia di derattizzazione: le linee guida nazionali come il rapporto ISTISAN 15/40 del 2015 (e successive modifiche) le ordinanze ministeriali, i regolamenti nazionali le direttive europee. Un’ordinanza particolarmente importante è quella del 9 agosto 2023 e successive proroghe del Ministero della Salute che vietano l’impiego di esche rodenticide in maniera impropria e soprattutto l’abbandono di bocconi avvelenati. Il Regolamento (UE) di riferimento (che affianca altri regolamenti come il CLP e il REACH) è il n. 528/2012 “Biocidi” (e il relativo decreto sanzionatorio n. 179/2021). Questo impone che tutti i prodotti rodenticidi vengano registrati all’interno del gruppo 3 “Controllo degli animali nocivi” nell’insieme PT14 “Rodenticidi” e indica quali tipologie di derattizzanti possono essere impiegate e in che modo definendo tre categorie di utilizzatori. Il primo è quello dei Trained Professional ovvero i professionisti formati di aziende di disinfestazione e derattizzazione, il secondo è quello dei Professional che sono persone che in ambito lavorativo utilizzano saltuariamente questi prodotti (allevatori, agricoltori, personale di industrie alimentari, ecc.) e il terzo è il General Public inteso come i privati cittadini. In linea generale sono destinati alle prime due categorie dei prodotti che contengono oltre i 30 ppm di sostanza attiva mentre per il pubblico generico i formulati commerciali devono contenerne un quantitativo inferiore e possono essere venduti in confezioni dal peso contenuto: non più di 300 grammi di blocchetti o di 150 grammi di pasta o mix di cereali/pellet (contenuti in bustine pre-dosate). All’articolo 5 “criteri di esclusione” si trovano una serie di criteri che impongono l’uscita dal mercato di molto prodotti perché tossici per la riproduzione o PBT (Persistenti, Bioaccumulabili e Tossici) o vPvB (molto Persistenti, molto Bioaccumulabili) categorie all’interno delle quali ricadono i prodotti rodenticidi di questo tipo: perché allora sono ancora permessi? La risposta è che questi prodotti sono ritenuti essenziali per una efficace lotta ai roditori come vettori di patogeni (o comunque forieri di gravi pericoli per la salute umana e/o animale) e che la mitigazione del rischio venga effettuata direttamente da chi li impiega. Recentemente è stata pubblicata la Decisione di esecuzione (UE) 2024/734 che posticipa la data di scadenza dell’approvazione degli anticoagulanti di seconda generazione al 31.12.2026. Tutti i prodotti commerciali rodenticidi riportano in etichetta anche la durata massima del trattamento di derattizzazione – di norma intorno ai 35 giorni – ma i soli professionisti formati, dopo aver condotto una analisi del rischio del sito e della infestazione e a determinate condizioni (e comunque solo in presenza di attività infestante in corso), possono prorogare il piano di lotta. Vi sono comunque da rispettare alcune prescrizioni come mitigazione del rischio di diffusione di sostanze tossiche quali la rimozione dei roditori morti e l’applicazione delle esche rodenticide solo all’interno di erogatori di sicurezza (chiusi a chiave con l’esca fissata alla postazione e la postazione possibilmente fissata a terra) o all’interno di punti esca protetti e coperti che presentino un pari grado di sicurezza degli erogatori. Gli autori della ricerca danno diversi spunti per gestire le criticità legate all’impiego di prodotti rodenticidi anticoagulanti suggerendo di limitarne la disponibilità ai cittadini, ridurre l’utilizzo di esche rodenticide anticoagulanti in modo permanente e incoraggiare il controllo integrato dei roditori. Come visto non è la mancanza di regole il problema, probabilmente è più l’assenza di un reale controllo da parte degli organismi preposti che andrebbe potenziata con una formazione mirata ed aggiornata. Un ulteriore passo che gli autori propongono per comprendere ancora meglio il fenomeno è quello di avviare un monitoraggio paneuropeo per il lupo (e altri grandi mammiferi) basato su protocolli anatomopatologici e tossicologici standardizzati: questo pare essere una proposta assolutamente assennata per comprendere la reale portata di questo evento.

Lo stato dell’arte e le alternative

Ad oggi i problemi principali sono la facile reperibilità dei prodotti anticoagulanti sul mercato anche da parte di non professionisti e l’impiego scorretto da parte di privati ed aziende (del settore e non) che ne viene fatto senza che vi sia un reale controllo da parte degli enti competenti. Negli ultimi anni il settore delle disinfestazioni ha imboccato un lento e graduale processo di professionalizzazione grazie anche ad alcune certificazioni internazionali come la ISO 9001:2018 Sistemi di gestione per la qualità – Requisiti e la UNI EN16636:2015 Servizi Gestione e Controllo delle Infestazioni (Pest Management). Mentre in passato le esche anticoagulanti erano il solo strumento per la gestione delle popolazioni infestanti di roditori – almeno per le aree esterne – oggi la situazione è in continuo mutamento. Esistono infatti nuovi strumenti a disposizione del professionista formato e un’attenzione via via crescente non solo per le tecniche e i prodotti più sostenibili ma anche per una corretta derattizzazione che salvaguardi il più possibile anche l’animale bersaglio da inutili sofferenze.
. Gli strumenti di più recente introduzione in questo settore sono i rodenticidi a base di colecalciferolo e postazioni multi-kill senza impiego di sostanze tossiche. Il colecalciferolo è una sostanza nota da tempo come rodenticida ma solo recentemente è tornata disponibile sul mercato con prodotti registrati per la lotta ai roditori infestanti ed ha diversi vantaggi rispetto agli anticoagulanti di prima e seconda generazione. Il primo è che genera una fase di anoressia nel roditore intossicato diminuendo i danni legate alle rosure e portandolo alla morte per ipercalcemia. Il secondo – e più importante – vantaggio è che il regolamento CLP non classifica la sostanza attiva come Persistente, Bioaccumulabile e Tossica (PBT) né come molto Persistente e molto Bioaccumulabile (vPvB) con una grande riduzione della probabilità di avvelenamento secondario da parte di animali non target come i lupi o altre specie selvatiche. Riguardo alle postazioni multi-kill occorre segnalare che già da tempo erano presenti sul mercato dispositivi multicattura per eliminare i roditori che non impiegavano sostanze rodenticide ma queste presentavano alcune criticità. Il roditore, una volta entrato nella postazione, cadeva dentro una botola e moriva per affogamento all’interno di un liquido antiputrefattivo, un tipo di eliminazione che non può essere definita incruenta oltre al fatto che il liquido non era impiegabile in qualsiasi contesto (es.: aziende alimentari, ecc). Ora però esistono trappole multi-kill che possono eliminare numerosi roditori senza l’utilizzo di sostanze pericolose e con un meccanismo di uccisione incruento. Ne esistono di vari modelli, alcune dedicate esclusivamente al controllo del topo, altre per ratti. Quelle per il controllo dei topi funzionano attirando il roditore all’interno della postazione tramite attrattivi alimentari e lì il roditore viene forzato a toccare alcuni elettrodi che lo eliminano istantaneamente. Il meccanismo della trappola poi ripone poi la carcassa all’interno di un sacchetto, riducendo ulteriormente la possibilità di predazione di topi che in precedenza potrebbero aver ingerito anticoagulanti. Quelle che invece hanno preso più piede per il controllo dei roditori di grossa taglia come i ratti funzionano in maniera completamente meccanica: la postazione è dotata di un sensore che percepisce la presenza del roditore all’interno del dispositivo e tramite una valvola viene azionato un pistone alimentato da una bombola di CO2 in pressione. Il roditore colpito dal pistone muore nel giro di pochi secondi appena fuori dal dispositivo o all’interno di un cassettino che alcuni di questi dispositivi hanno in dotazione. Per avere un controllo sempre più diretto e in tempo reale molti di questi dispositivi hanno poi delle APP e dei back-end dedicati in cui il professionista può verificare in qualsiasi momento il numero di catture o le criticità riscontrate. Gli obiettivi che Agenda 2030 propone per dare a tutti la possibilità di vivere in un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico devono spingere i privati, gli enti e le aziende professionali a considerare nella loro interezza tutte le azioni necessarie nella gestione degli infestanti, la protezione degli interessi della salute pubblica e delle imprese oltre ovviamente la tutela della fauna non bersaglio. Talvolta è necessario ricorrere a prodotti potenzialmente molto pericolosi e in questi casi l’attenzione alla mitigazione dei rischi deve essere molto alta, altre volte si potrà fare affidamento su prodotti e tecniche meno impattanti. Una sola regola non può mai essere derogata: l’utilizzo del ragionamento basato sull’analisi di dati oggettivi, da integrare per gestire con successo la coesistenza di infestazioni e specie selvatiche in uno stesso ambiente.

Riferimenti:
Musto, C., Cerri, J., Capizzi, D., Fontana, M. C., Rubini, S., Merialdi, G., …Garbarino, C. (2024). First evidence of widespread positivity to anticoagulant rodenticides in grey wolves (Canis lupus). Science of The Total Environment, 915, 169990. doi: 10.1016/j.scitotenv.2024.169990

Immagini: dalla pubblicazione