La verità sul Tridentinosaurus

Tridentinosaurus Valeria Rossi

La scoperta della contraffazione del famoso fossile ha scosso l’ambiente paleontologico italiano e non solo. Nel caos mediatico che ne è seguito sono stati, alle volte, commessi degli errori nel riportare con fedeltà questa importante ricerca. Ora su Pikaia facciamo chiarezza.

“Fossile italiano si rivela essere un falso.”

Questo più o meno il titolo (molto acchiappa like) proposto da CNN, BBC, Washington Post e tantissime altre emittenti, giornali, riviste di settore e non, che hanno rimpallato attorno al globo la scoperta della Dottoressa Valentina Rossi, dell’University College di Cork, pubblicata recentemente sulla rivista scientifica Palaeontology.

La notizia è clamorosa ma è stata anche da molti riportata con superficialità. Facciamo un po’ di chiarezza.

Il caso

1931. Viene ritrovato nei pressi di Stramaiolo, nella valle Piné in Trentino Alto Adige, un fossile unico nel suo genere. All’interno di sedimenti di origine piroclastica, solitamente frammentari, ecco venire alla luce un reperto di straordinaria completezza. Quello che sembra essere un rettile di quasi 300 milioni di anni fa si mostra nella sua totalità. Mancante solo della regione cefalica, il contorno del corpo è ben delineato e l’intero animale si presenta completo di arti, tronco e coda, scuri sullo sfondo più chiaro dell’arenaria. Incredibile.

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Tridentinosaurus antiquus

L’esemplare, però, viene ufficialmente descritto solo nel 1959. Nominato Tridentinosaurus antiquus e datato tra i 273 e i 298 milioni di anni fa, è interpretato come uno straordinario caso di carbonificazione, processo di fossilizzazione che avviene ad alte pressioni e in scarsità di ossigeno. È ritenuto uno dei fossili più antichi e meglio conservati del Permiano inferiore italiano. I tessuti molli sono visibili, le ossa lunghe degli arti posteriori abbastanza ben preservate e c’è persino qualche osteoderma.

L’indagine su Tridentinosaurus

Tridentinosaurus, quindi, nel suo essere incredibile ed enigmatico, suscita più domande rispetto alle risposte scientifiche che fornisce. È il momento di saperne di più.

È questo che porta a Padova la Dottoressa Rossi che, come in una moderna serie TV crime, decide di impiegare l’intero arsenale fornito dalle attuali tecniche analitiche. Questo anche grazie a un team di scienziati nato da una collaborazione tra molteplici enti tra cui il Museo della Natura e dell’Uomo e il dipartimento di Geoscienze di Padova, il museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige di Bolzano, il MUSE di Trento e, naturalmente, l’University College di Cork.

Si inizia con fotografie agli ultravioletti per poi proseguire con lo scanning 3D dell’intera superficie del fossile, in concerto con una combinazione di tecniche all’avanguardia come l’indagine tramite microscopio elettronico a scansione, spettroscopia EDX e micro Raman, micro diffrazione a raggi X e la riflettanza totale attenuata.

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 (A) Tridentinosaurus antiquus e la posizione dei microcampioni analizzati; B) immagine della topografia superficiale; C) fotografia del fossile sotto lampada UV. 

Senza entrare nei dettagli (complicatissimi alle volte) di ogni singola tecnica, vi basti sapere che il famoso Tridentinosaurus antiquus non era mai stato sottoposto a un’indagine tanto accurata quanto all’avanguardia.

Il colpo di scena

Qualcosa fin da subito non quadra. Fotografato sotto la luce UV il corpo dell’animale brilla di giallo, caratteristica che non si riscontra fotografando altri fossili della stessa formazione geologica.

Anche lo scanning 3D rivela qualcosa di insolito: nei fossili dove si preservano le parti molli solitamente l’intero esemplare si presenta appiattito, schiacciato su un asse. Ma in T. antiquus arti inferiori e coda risultano più in alto rispetto al piano del resto del corpo.

L’indagine multimodale rivela altri due aspetti fondamentali. Il primo è che i ricercatori non rilevano tracce di melanina normalmente associata ai tessuti molli. Il secondo è che, analisi accurate delle parti scure del fossile (quindi associate ai presunti tessuti molli), rivelano un aspetto granulare che non corrisponde a quello con il quale si presentano normalmente i tessuti molli presenti in altri fossili. L’aspetto granulare, anzi, ricorda più i pigmenti utilizzati in alcuni dipinti storici.

Le tessere del puzzle ora formano un’immagine chiara: T. antiquus è un falso.

Probabilmente prima della sua descrizione ufficiale del 1959, il fossile è stato manipolato nel tentativo di mettere in risalto coda e arti inferiori (come evidenziato dallo scanning 3D) e poi dipinto con nero d’ossa (un pigmento di origine naturale ottenuto dalla carbonizzazione di ossa di animali) per ricreare un contorno e un corpo rettiliano laddove, semplicemente, non c’era. Probabilmente poi è stato anche “fissato” meglio grazie a lacche, vernici o colle che, brillando sotto i raggi ultravioletti, spiegherebbero il bagliore giallo insolito sotto UV.

Tutto falso?

I presunti tessuti molli che rendevano T. antiquus di rara importanza sono quindi un falso che, probabilmente, ha fuorviato gli scienziati per un secolo.

Non è insolito che reperti datati presentino diversi gradi di contraffazione dovuti ad un diverso approccio a questi ritrovamenti fossili. Spesso per puro gusto estetico venivano tagliati, modificati, alterati e dipinti senza che ci fosse l’intento di ingannare. L’importante ai fini della ricerca è ovviamente esserne consapevoli.

Eppure qualcosa di vero in T. antiquus c’è. Femore, tibia e perone, seppur non ben preservati, sono autentici. Così come gli osteodermi, elementi ossificati presenti nel derma di alcuni animali come rettili ma anche in mammiferi come ad esempio l’armadillo. Sono tutti elementi fossilizzati di un animale vissuto a inizio Permiano quasi 300 milioni di anni fa. Questo già di per sé è stupefacente.

T. antiquus è quindi un taxon da considerarsi ancora valido? La domanda sorge spontanea dato che per arrivare alla sua classificazione sono state effettuate delle misurazioni su un corpo rivelatosi inventato. Senza più il contorno ben definito del corpo e dato lo scarso grado di preservazione delle ossa e il loro numero esiguo, probabilmente sarà molto complicato ricondurre questo individuo a un gruppo tassonomico con certezza. Ma in futuro, nuove tecniche di indagine e di comparazione con altri esemplari potrebbero fare luce su questo famoso (in un modo o nell’altro) fossile, così come le tecniche odierne hanno permesso di scoprire la contraffazione delle presunte parti molli.

Le tecniche analitiche moderne si confermano quindi (se usate sapientemente in concerto) un ottimo strumento per stabilire l’autenticità delle vastissime collezioni museali e dei loro reperti, che siano stati già studiati o, addirittura, ancora prima di utilizzarli come oggetto di ricerca.

Riferimenti: Rossi, V., Bernardi, M., Fornasiero, M., Nestola, F., Unitt, R., Castelli, S. and Kustatscher, E. (2024), Forged soft tissues revealed in the oldest fossil reptile from the early Permian of the Alps. Palaeontology, 67: e12690. https://doi.org/10.1111/pala.12690

Immagini: comunicato stampa MUSE