La biodiversità al centro | ep. 3 | Capire e gestire gli ecosistemi forestali
Per studiare e gestire le foreste il National Biodiversity Future Center utilizza anche modelli statistici avanzati. Ne parliamo con la dottoressa Cristina Cipriano, che ci racconta anche della battaglia dei giovani per la Nature Restoration Law
Secondo i dati dell’ultimo inventario forestale nazionale l’Italia ha 11 milioni di ettari di superficie di foreste, pari al 37% del territorio nazionale. 3,5 milioni di ettari, o il 32% del territorio, sono inseriti in aree protette. Si tratta di un patrimonio immenso e in gran parte piuttosto recente: rispetto al secondo dopoguerra la superficie forestale è raddoppiata. Un patrimonio che deve essere protetto e gestito, e che quindi deve essere studiato. All’interno del National Biodiversity Future Center molti progetti, di diversi spoke, riguardano questi ecosistemi. Come si legge nel primo rapporto annuale del Centro Nazionale Biodiversità:
“Le foreste sono uno degli elementi fondamentali per migliorare, incrementare, proteggere la biodiversità.”
Forse non tutti sanno che per studiare le foreste si usano anche i computer. Più nello specifico dei modelli statistici che permettono di approssimare le relazioni ecologiche in questi ecosistemi.
“Mi occupo principalmente di biogeografia ed ecologia di comunità, ovvero studio gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi terrestri e lo faccio attraverso dei modelli avanzati che ci aiutano a comprendere le risposte ecologiche e anche a prevedere scenari futuri, così da poter monitorare meglio la biodiversità e come si organizza la biodiversità in risposta agli impatti sia naturali sia di natura antropica.”
Parla la ricercatrice Cristina Cipriano del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, una delle istituzioni partner del National Biodiversity Future Center. Cristina è specializzata in cambiamenti ambientali e sostenibilità globale, con focus specifico sulla biodiversità. All’interno di NBFC fa parte dello spoke 4, dedicato a “funzioni, servizi e soluzioni degli ecosistemi”.
Che cosa sono le foreste?
A La biodiversità al centro Cristina spiega innanzitutto che le foreste sono degli ecosistemi complessi. Ricoprono oltre il 31% della superficie terrestre e sono delle comunità biologiche costituite non solo da alberi, ma anche da molte altre piante, funghi, animali e dai sempre dimenticati microrganismi. Tutte queste specie interagiscono tra di loro e con l’ambiente circostante.
Le foreste sono importantissime per la vita sul nostro pianeta, svolgendo numerose funzioni ecosistemiche che servono non solo per sostenere gli ecosistemi stessi ma anche la nostra vita. Per esempio sono dei serbatoi naturali di carbonio, cioè assorbono CO2 durante la fotosintesi che viene rimossa in parte dall’eccesso presente in atmosfera e questo contribuisce a regolare il clima globale. Influenzano il ciclo dell’acqua e agiscono da filtro naturale per le acque superficiali, facendo sì che migliori la qualità dell’acqua che beviamo. Le radici degli alberi aiutano a stabilizzare il suolo, riducendo il rischio sia di erosione che di frane. Per non parlare del legno, della frutta, dei funghi o delle piante medicinali di cui beneficiamo.
Le foreste sono minacciate da fattori antropici come incendi, deforestazione, l’inquinamento atmosferico, urbanizzazione e introduzione di specie invasive, il tutto catalizzato dai cambiamenti climatici. Queste minacce insieme compromettono l’integrità degli ecosistemi forestali e i benefici che forniscono.
“In Italia emolte altre parti del mondo, la conservazione delle foreste è sicuramente una priorità e l’inserimento di vasti territori forestali in aree protette è un passo importante verso la protezione e la gestione sostenibile di questi preziosi ecosistemi. Tuttavia è fondamentale adottare delle misure che siano efficaci per contrastare le minacce alle foreste e promuovere delle pratiche di gestione forestale che siano responsabili al fine di preservare la biodiversità e garantire il benessere non solo delle generazioni presenti, ma anche di quelle future.”
Che cosa sono modelli di distribuzione delle specie
Per studiare questi ecosistemi i ricercatori e le ricercatrici come Cristina utilizzano i modelli di distribuzione delle specie (species distribution models).
“Sono degli strumenti essenziali per esaminare la distribuzione e le preferenze ecologiche delle specie in diversi ambienti” – spiega la ricercatrice. “Sono usati, per esempio, per comprendere perché certe specie si trovino in specifiche aree e quali sono i fattori ambientali che vanno ad influenzare la loro presenza in quelle specifiche zone”.
I modelli si basano su una serie di dati osservativi che appartengono a due principali categorie. Quelli relativi alle specie (prima di tutto, la presenza di una certa specie nello spazio e nel tempo) e quelli sull’ambiente (a partire dalle variabili climatiche). La distribuzione di ogni specie è però influenzata sia dai parametri ambientali sia dalle altre specie. Da queste informazioni gli algoritmi dei modelli possono simulare l’evoluzione della distribuzione delle specie nel tempo in base diversi scenari.
Sono due gli approcci principali nella costruzione di questi modelli. I più comuni sono i modelli di distribuzione delle singole specie (single species distribution models) e poi ci sono i modelli di distribuzione congiunta delle specie (joint species distribution models) a cui lavora Cristina Cipriano.
Nel primo caso, per esempio, i ricercatori potrebbero, per esempio, analizzare come la temperatura, l’umidità e il tipo di suolo influenzano la distribuzione di una singola specie, come il faggio (Fagus sylvatica), senza considerare altri organismi. I single species distribution models sono fondamentali per comprendere le esigenze ecologiche specifiche di una particolare specie e per prevedere la sua distribuzione in base a fattori ambientali.
“D’altra parte, però, ci sono anche i modelli di distribuzione congiunta delle specie, che considerano contemporaneamente più specie e le loro interazioni all’interno della comunità ecologica. Questo approccio è più complesso anche in termini di esigenze computazionali, ma ci consente di comprendere meglio le relazioni tra le specie all’interno di un ecosistema, e ci danno anche una visione più realistica delle dinamiche ecologiche vere e proprie.”
Per fare un esempio estremamente semplificato, questi modelli potrebbero essere usati per studiare come il faggio e l’abete bianco (Abies alba), che spesso convivono nei nostri boschi, interagiscono in determinate condizioni ambientali e come queste interazioni influenzano la loro distribuzione sulla base di quelle specifiche caratteristiche ambientali.
Quali sono le applicazioni di questo lavoro?
Da questi modelli si ricavano informazioni utili per la gestione forestale, ma anche per la conservazione della biodiversità. Perché queste informazioni possano essere usate devono però essere accessibili, prima di tutto agli altri ricercatori. Per questo, all’interno del National Biodiversity Future Center, il modello a cui lavora Cristina Cipriano sarà integrato in una piattaforma dedicata.
“Tra i principali lasciti del Centro nazionale di biodiversità ci saranno le quattro piattaforme sviluppate dal Cineca in collaborazione con i vari spoke e altri affiliati del Centro. Il Cineca è il più grande centro di calcolo italiano, nonché uno dei più importanti a livello mondiale, e il loro supporto è assolutamente fondamentale per noi ricercatori. Le quattro piattaforme saranno incentrate su diversi aspetti della biodiversità che vanno dal livello molecolare a quello sistemico.”
Il modello a cui lavora la ricercatrice, che prevede anche una componente di intelligenza artificiale, è destinato alla piattaforma BEF (Biodiversity Ecosystem Function and Monitoring Platform). Tramite questa piattaforma il ricercatore potrà accedere alla piattaforma e sottomettere i suoi dati processati, cioè rifiniti e pronti per essere utilizzati, così da sfruttare il potere computazionale del centro di calcolo del Cineca e ottenere risultati in tempistiche notevolmente ridotte rispetto a quelle di un normale pc. Questo tipo di modelli, infatti, richiede elevate esigenze computazionali e questo è uno dei limiti alla loro diffusione.
“Con questa piattaforma saremo in grado di facilitarne l’accesso a livello internazionale, accelerando il progresso della ricerca e offrendo analisi più avanzate che sono assolutamente vitali per comprendere le dinamiche ecologiche su scala globale. Inoltre, il nostro modello sarà facilmente interoperabile con altri modelli, ovvero può fornire una base da cui fare poi approfondimenti o analisi successive, il che lo rende versatile e rilevante in diverse applicazioni”
Conoscere come i nostri ecosistemi forestali si evolvono può essere utile per esempio in ambito aziendale. Il modello può infatti supportare il processo di certificazione ambientale e fornire delle analisi scientifiche che aiutano il raggiungimento di standard più elevati di responsabilità ambientale e sociale. Allo stesso tempo i risultati del modello possono essere utilizzati dai decisori politici per sviluppare le politiche di conservazione e gestione.
“Ma la comunità non è beneficiata soltanto dai decisori politici” – sottolinea la dottoressa. “Infatti, comprendendo meglio i processi ecologici e i fattori che minacciano la salute degli ecosistemi, si può incoraggiare un coinvolgimento attivo della comunità nella conservazione della natura e anche promuovere l’adozione di comportamenti che siano più sostenibili”.
Il Global Youth Biodiversity Network e la travagliata storia (a lieto fine) della Nature Restoration Law
A proposito di collettività, Cristina Cipriano ci racconta che la sua passione per la biodiversità non si limita alla ricerca scientifica. Fa infatti parte del Global Youth Biodiversity Network, di cui è una delle coordinatrici per l’Europa.
“GYBN è un’organizzazione internazionale impegnata politicamente nel coinvolgimento giovanile per salvaguardare la biodiversità. È stata fondata nel 2010 e si è rapidamente affermata come una voce autorevole nel panorama politico e ambientale globale. Infatti, è riconosciuta e sostenuta dal Segretariato della Convenzione sulla diversità biologica dell’Onu ed è la voce dei giovani provenienti da tutto il mondo nei negoziati che si svolgono contestualmente alle COP per la biodiversità. Lavoriamo a stretto contatto con organismi governativi e organizzazioni non governative per influenzare le politiche e le decisioni che riguardano la biodiversità.”
Quando abbiamo incontrato Cristina le abbiamo chiesto che cosa le stava più a cuore rispetto a questo suo impegno, e la risposta è stata “la Nature Restoration Law”. Proposta nel 2022 dalla Commissione europea, l’ambizione è che diventi il testo fondamentale per la rigenerazione della natura, nonché un pilastro del Green Deal europeo. Attraverso Generation Climate Europe, una coalizione di organizzazioni ambientaliste giovanili, GYBN è stata coinvolta dal principio, sia per suggerire modifiche al testo, sia per sensibilizzare il pubblico. Nel luglio del 2023 la legge è stata approvata dal Parlamento Europeo, e il relatore César Luena ha ringraziato pubblicamente le associazioni giovanili per aver fatto in modo che questo accadesse.
Dopo il voto in Parlamento e in seguito ai negoziati del trilogo, la proposta di regolamento era ormai arrivata a un passo dal successo. Ma il 22 marzo 2024, gli Stati membri dell’UE non hanno raggiunto la maggioranza necessaria per adottare la legge. A cambiare le carte in tavola è stata l’Ungheria, andando ad aggiungersi ai voti contrari di Svezia, Paesi Bassi, Polonia e Italia e alle astensioni di Finlandia, Belgio e Austria. In precedenza, l’Ungheria era favorevole alla legge. Il rifiuto è arrivato in un momento in cui gli agricoltori di tutta l’UE protestavano per l’aumento dei costi, la riduzione dei redditi e gli oneri associati all’eccesso di regolamentazione. Questo cambio di tendenza in questa fase della legge ha in un certo senso intaccato l’immagine pubblica delle istituzioni europee, che dopo essere giunte alla fine di un iter legislativo hanno invertito la direzione di marcia in una mossa ritenuta politica in vista delle elezioni europee.
Questa era la situazione quando abbiamo intervistato la ricercatrice, che infatti temeva che la legge fosse ormai condannata. Ma il 17 giugno la dottoressa Cipriano ci ha scritto:
“In an unexpected turn of events la Nature Restoration Law è ufficialmente legge da oggi. Eravamo tutti preparati al peggio ma l’altra sera abbiamo avuto conferma del cambio d’idea dell’Austria e hanno appoggiato la legge. Anche i paesi che erano più a rischio di fare un’inversione di rotta e votare contro (Lettonia, Lituania e Portogallo) hanno invece continuato ad appoggiare”
Che cosa è successo?
Non ci sarebbe stato abbastanza tempo per un nuovo voto del Consiglio prima del cambio di presidenza, che sarebbe avvenuta il primo luglio. La presidenza del Consiglio europeo viene esercitata a turno dagli Stati membri ogni sei mesi, e fino a fine giugno è stata detenuta dal Belgio mentre da luglio sarebbe passata all’Ungheria. Ma l’Ungheria era contraria alla legge e non sarebbe stata certo una sua priorità chiedere una nuova votazione del Consiglio. Se non avessero raggiunto un accordo, la legge sarebbe stata sottoposta a una seconda lettura e sarebbe dovuta tornare in Parlamento. Un nuovo Parlamento, per il quale abbiamo appena votato, e nel quale la maggioranza dei deputati non è propriamente favorevole alla legge. Per questo la legge sul ripristino della natura era considerata sostanzialmente “morta”.
“Ma conoscete il detto: volere è potere”, chiosa la ricercatrice, che ha raccontato questa storia anche a Radio3Scienza
Premesso che il Consiglio dell’UE riunisce i ministri competenti di ogni Stato membro, in questo caso i ministri dell’ambiente, chi ha avuto la volontà e ha trovato la strada è stato il presidente di turno del Consiglio dell’UE, che a giugno era ancora il Belgio. È stato proprio il Belgio a scegliere di rimettere all’ordine del giorno il voto sulla legge, andando contro l’orientamento del primo ministro belga. Il 17 giugno si è scritta la storia dell’ambiente: il Consiglio europeo ha adottato ufficialmente la legge sul ripristino della natura grazie al voto decisivo dell’Austria, che ha sorpreso tutti. Era infatti previsto che l’Austria si astenesse, insieme al Belgio, per via di dissensi interni ai rispettivi paesi. Si conoscevano già i Paesi contrari, tra cui l’Italia, a cui si è aggiunta la Finlandia, che si era precedentemente astenuta. Con questi voti, la legge non ce l’avrebbe fatta di nuovo. Ma la ministra dell’Ambiente austriaca Leonore Gewessler si è opposta alle direttive del suo governo, dando il voto decisivo per approvare e salvare definitivamente la tanto sofferta legge.
L’opposizione austriaca non ha digerito bene l’azione ribelle della sua ministra e ha presentato due reclami alla Corte di giustizia europea, sia per chiedere l’annullamento del voto sia contro la ministra stessa. La ministra, del partito dei Verdi, però sapeva benissimo cosa stesse facendo al momento del voto e infatti sostiene di aver agito in modo legittimo, in quanto si è consultata con esperti legali. Sulle questioni ambientali, la legge austriaca richiede che tutti gli stati federati concordino e, se non c’è consenso, il ministro federale può decidere. Ciò che è successo è esattamente questo: poco prima del voto lo stato di Vienna ha cambiato la sua posizione e, non essendoci più l’unanimità contraria, questo ha permesso alla ministra di votare autonomamente. Il Consiglio europeo ha comunque convalidato il voto, tra l’altro in una decisione che è stata volutamente rapida per evitare che l’Ungheria mettesse ancora bastoni fra le ruote, poiché avrebbe assunto la presidenza del Consiglio da luglio e si era già opposta alla legge.
Ora la Nature Restoration Law è ufficialmente una legge dell’Unione. Rimane da metterla in pratica.