Natura ed evoluzione della morale: tra scienze evolutive e metaetica

evoluzione della morale Guardo

 “L’evoluzione della morale per selezione naturale” di Andrea Guardo (Cortina, 2024) presenta una tesi audace sull’evoluzione della morale. Proponiamo questo approfondimento sui contenuti del libro.

Titolo: L’evoluzione della morale per selezione naturale Autore: Andrea Guardo Casa editrice: Raffaello Cortina Anno: 2024 Pagine: 232 ISBN: 9788832856064   Il libro di Andrea Guardo L’evoluzione della morale per selezione naturale è un testo che cerca di discutere con tutti di questioni specialistiche, a cavallo tra filosofia e scienza, teoria dei giochi e metaetica, teorie sull’altruismo e teorie sulle nostre credenze morali. Non è un testo da spiaggia ma da leggere chini su una scrivania, con a fianco un notebook, una penna e magari anche una matita per sottolineare i punti più complessi. Il libro non presenta, come molti testi divulgativi, solo teorie ormai consolidate e condivise dalla comunità scientifica. Anzi, la doppia proposta teorica di Andrea Guardo può risultare agli occhi sia dello specialista sia del curioso molto ardita: ci dice che le credenze morali sono frutto, in ultima analisi, della selezione e che quindi non esistono fatti morali indipendenti. Questa tesi però, contestualizzata nel dibattito specialistico, è meno problematica di quel che può sembrare. In questa sede tenteremo di presentare il libro, cercando di rendere i termini tecnici più chiari possibili al lettore e cercando di fornire un quadro introduttivo per i temi trattati.

Le tesi e la struttura del libro

Il testo è una lunga argomentazione, che parte da una tesi evoluzionistica per arrivare a tesi sull’origine e la natura della nostra coscienza morale. Per usare una formula presente nel volume, quest’ultimo consta di «due libri – uno […] sull’evoluzione della morale e uno […] sulle conseguenze metaetiche dell’evoluzione della morale» (p. 13). Lungo la recensione, per velocizzare, il primo blocco argomentativo sarà chiamato “libro 1” e il secondo blocco “libro 2”. Il lettore si potrebbe chiedere: cos’è la metaetica? Si tratta della disciplina che si chiede in cosa consistano i nostri discorsi sulla morale e quale è la natura di quei precetti che formano le nostre credenze morali (per semplicità userò etica e morale come sinonimi, anche se in filosofia non è sempre così). Non si interroga, cioè, su cosa è giusto (come fa l’etica) ma è cerca di capire cos’è l’etica. Un esempio di posizione morale (o etica), per esempio, la troviamo nei movimenti e organizzazioni per i diritti degli animali, che considerano ingiusto lo sfruttamento degli animali non umani. Un esempio di questione metaetica, invece, è quella proposta nel libro 2, che rappresenta il tema principale del testo di Guardo: i fatti morali, tutti o alcuni, sono indipendenti dalla nostra psicologia e/o dalla cultura in cui siamo immersi? Esistono fatti morali “oggettivi”, cioè di per sé evidenti e auto-giustificantesi? Le risposte a queste domande sono classificabili in due grandi gruppi. Le posizioni realiste concordano nel considerare i fatti morali (almeno alcuni) come indipendenti ed esistenti di per sé, quindi come un qualcosa di “primitivo” (con questo termine in gergo filosofico si intende qualcosa che sta alla base di un discorso e non è riducibile ad altro). Le posizioni antirealiste, invece, negano che i valori morali siano indipendenti dal «fatto che gli esseri umani approvano certi comportamenti e ne disapprovano altri» (p. 19). Ognuna delle due posizioni presenta punti di forza e svantaggi e ognuna delle risposte che diamo a queste domande ha risvolti pratici molto importanti per la nostra vita e per le nostre scelte. Guardo ha come obiettivo principale “sgonfiare” la credenza di un’indipendenza dei fatti morali (tale strategia si definisce debunking argument, spiegheremo più avanti i dettagli). Per ottenere ciò, porta avanti una tesi sull’origine delle nostre credenze morali: sarebbero il frutto della selezione. Dopo questi chiarimenti, possiamo presentare il libro così: è un testo di metaetica che, partendo da una dimostrazione dell’origine delle nostre credenze morali da meccanismi di tipo selettivo (libro 1), cerca di trarne le conclusioni e mostrare come immotivata la credenza di un bene o di un giusto indipendente, sussistente di per sé (libro 2). I capitoli 1-3, su cui non ci soffermeremo, sono la presentazione dei concetti di base, degli strumenti del mestiere, necessari per capire il testo: le discipline coinvolte sono la metaetica, la biologia evoluzionistica (in particolare la psicologia evoluzionistica) e la teoria dei giochi. I capitoli 4-7 presentano la tesi del libro 1, di carattere evoluzionistico. Il capitolo 7 è il capitolo più importante, e tenta di fornire una descrizione e di definire la natura e la funzione delle nostre credenze morali. I capitoli 8-10 sono il libro 2, le conseguenze metaetiche. Il capitolo 9 è il cuore pulsante di tutto il libro: viene definito l’evolutionary debunking argument. Il capitolo 11, che secondo me recepisce bene quale può essere la preoccupazione del lettore alla fine del testo, discute di quale atteggiamento assumere se accettiamo le tesi del libro.

Libro 1: morale frutto dei processi selettivi

I capitoli 4-6 presentano tre modelli con i quali varie tradizioni di studi hanno tentato di comprendere l’evoluzione dei comportamenti prosociali. Per comportamento prosociale si intendono quei comportamenti che avvantaggiano non (o non solo) il soggetto che li compie, ma uno o altri individui. Parliamo della teoria dei giochi evolutiva, delle teorie della selezione parentale e delle teorie della selezione di gruppo. Negli ultimi due modelli il più generico concetto di vantaggio deve essere specificato come fitness (nella definizione classica, dalla sintesi moderna, è il probabile successo riproduttivo). In biologia lo studio dei comportamenti prosociali ha visto una lunga serie di proposte teoriche e programmi di ricerca che, da Darwin fino ai giorni nostri, tentano di spiegare questi comportamenti presenti in molte specie. Lo studio del comportamento in chiave evoluzionistica è una parte importante della biologia e vi sono stati molti approcci e atteggiamenti diversi. Tutt’oggi coesistono posizioni differenti. I testi di riferimento usati dall’autore sono molto importanti per la biologia e la sua storia. Lo studio del comportamento è però un terreno scivoloso, come alcune forme di psicologia evoluzionistica hanno recentemente mostrato (un testo che passa in rassegna tutti i punti critici di una “biologia evoluzionistica pop” è Evoluti e abbandonati di Telmo Pievani). Le teorie del comportamento sono solo il primo passaggio della tesi del libro 1, dato che dall’evoluzione dei comportamenti prosociali Guardo passa a proporre una teoria dell’evoluzione delle credenze morali, sulla scorta delle tesi del filosofo Richard Joyce. L’autore riconosce che la sua teoria è abbastanza speculativa (p. 131). La tesi di fondo assume che il nostro comportamento prosociale sia possibile grazie a un apparato cognitivo complesso, frutto delle selezione naturale e/o culturale (cioè di quei casi di selezione in cui l’eredità ricevuta attraverso la cultura ha delle conseguenze nella sopravvivenza e nella popolazione di determinati gruppi). Alla base di questo apparato vi sono le emozioni morali, che fungono da spinta emotiva alla manifestazione dei comportamenti prosociali. Grazie a queste emozioni proviamo reazioni emotive viscerali, quali rabbia, felicità o disgusto, in relazione a determinati comportamenti o eventi che approviamo o disapproviamo. Le credenze morali arriverebbero in un secondo momento come “eco”, più esplicito e cognitivamente più raffinato, delle emozioni morali. Vediamo dunque delineato un complesso apparato cognitivo triadico di emozioni credenze e comportamenti, con questi ultimi che risultano sempre l’elemento finale, il risultato, del sistema. Le emozioni sono sempre il momento iniziale di questo processo cognitivo. Le credenze, infine, sono frutto e cristallizzazioni delle nostre emozioni (in filosofia posizioni etiche del genere sono definite sentimentaliste) e sono un’ulteriore spinta a manifestare comportamenti di un certo tipo. Le credenze, però, non hanno tutte lo stesso tipo di rapporto con le emozioni morali: queste ultime possono esercitare un’influenza diretta o indiretta sui nostri valori. «L’idea è che a essere un’eco del nostro apparato emotivo siano certe credenze di base» (p.119). La selezione influisce in maniera più decisiva quindi solo sui nostri valori di base, «disegnando così i confini del nostro universo morale e decidendo, per così dire, che pensieri possiamo pensare» (p. 119). È bene notare però che qui si parla di direttive e tendenze. Il lavoro della selezione non è fornire solo un semplice range di possibilità. Per confronto, una posizione sui valori e sui comportamenti più tendente a questa seconda tesi è quella di S.J. Gould (riscontrabile ad esempio negli ultimi saggi contenuti nel libro Questa idea della vita). Un esempio di assunzione morale di base è il rigetto di infliggere violenza gratuita, perché a noi (secondo la teoria che stiamo esponendo) viene subito una repulsione immediata (istintiva verrebbe da dire), dettata da una determinata emozione morale, di questa pratica. Il non infliggere violenza gratuita ad altri animali è invece una credenza che si basa sulla prima credenza di base e su determinate nostre esperienze e conoscenze. Possiamo quindi vedere come la posizione di Guardo non cade in un selezionismo estremo, per cui tutta la nostra morale viene spiegata dalla selezione. In entrambi i casi, però, per ogni nostro valore fondamentale troviamo un’emozione più primitiva. Possiamo quindi ipoteticamente riavvolgere il nastro e vedremo, per Guardo, l’origine dei nostri sistemi morali in reazioni emotive (che, sempre per questa tesi, sono da ricondurre a processi selettivi). Nel testo si delineano tre stadi di credenza: un primo è quello, già visto, delle credenze di base, eco diretto delle nostre emozioni morali viscerali. Il secondo stadio riguarda invece le credenze dedotte dalle credenze di base. Nel terzo stadio sono invece classificate tutte quelle credenze accettate sulla base della testimonianza o dell’autorità di altre persone. È un punto interessante: riavvolgendo il nastro dell’origine delle nostre credenze, potremmo imbatterci nel fatto che alcune di queste ci sono state inculcate da altre persone e quindi non avere una nostra emozione a fondamento. Ciò non è un problema per la tesi dell’autore dato che, andando sempre più indietro nella genealogia, concluderemo «sempre con qualcuno che è arrivato a possedere la credenza in questione nel primo modo» (p. 118). Il testo fornisce quindi una proposta teorica, descrive in maniera minuziosa come si dovrebbe presentare questo apparato cognitivo e avanza una tesi sulla funzione delle credenze morali all’interno di questo apparato. Per il lato più empirico e genealogico si rimette a ipotesi evoluzionistiche e studi sperimentali intorno alla stimolazione emotiva sui giudizi morali. La sintesi della tesi del libro 1, che emerge a seguito di un lunga presentazione di teorie biologiche e proposte filosofiche, è dunque che «le nostre credenze morali sono il prodotto, più o meno immediato, della selezione» (p. 131). L’autore in più punti sottolinea come il processo possa dipendere sia da selezione naturale sia da selezione culturale.

Libro 2: l’evolutionary debunking argument

Passiamo ora alla costruzione dell’argomento di metaetica sulla base della tesi del libro 1. Dalla tesi evoluzionistica sulle credenze morali si deve passare a comprendere come, da queste premesse, si può costruire un’argomentazione di metaetica. Non basta, infatti, accettare l’insieme delle tesi prima esposte per decretare la presunta o meno indipendenza della morale, ma bisogna formulare una ragionamento per comprendere come le tesi esposte nel libro 1 possano inserirsi nella disputa tra realisti e antirealisti. In questo caso la forma del ragionamento è quella del debunking. Come ci suggerisce il nome della strategia (in inglese significa “sfatare”), questa forma di argomento mira a definire come ingiustificata una credenza perché riconducibile a processi o ragionamenti inaffidabili. Un esempio sono le superstizioni, giudizi frutto di ragionamenti che non permettono di definire giustificate le conclusioni (magari avrò anche una settimana sfortunata, ma è difficile dare ragione alle spiegazioni fornite dall’oroscopo). Il giudizio che si indebolisce molto (ma che non è confutato completamente) è la credenza realista di un’indipendenza delle nostre credenze morali. La prima premessa è la tesi del libro 1. La seconda premessa deve essere spiegata e consiste nel sostenere l’inaffidabilità del meccanismo di selezione come produttore di credenze morali vere. In che senso credenze morali vere? Abbiamo visto che per la posizione realista i fatti morali sono qualcosa che non è dipendente da psicologia e società. Allora se crediamo di seguire (o di poter seguire) quei valori che sono tali indipendentemente da noi, crediamo anche che con il ragionamento o con altri fattori siamo arrivati a capire quali sono questi fatti morali indipendenti e ad avere conseguenti credenze etiche vere. Come abbiamo visto, per le tesi del libro 1, il meccanismo che produce le nostre credenze morali è la cristallizzazione dei nostri sentimenti morali, all’interno di un complesso apparato cognitivo evolutosi per selezione. Allora viene subito da chiedersi: questo meccanismo ci permette di giustificare il giudizio che le nostre credenze morali siano fatti oggettivi e indipendenti da noi? Per Guardo no, ma non basta semplicemente dire che le credenze morali siano prodotto della selezione. Si deve assumere che la fitness ricavata dalla socialità sia qualcosa di completamente scollegato dall’aderenza dei nostri comportamenti a norme oggettive (cioè fatti morali come li intende il realista). In questo caso Guardo porta avanti ragionamenti ed esperimenti mentali troppo complessi da sintetizzare in poche righe. Il nocciolo della questione è però che i nostri comportamenti sociali hanno portato vantaggio a prescindere dall’esistenza o meno di fatti morali indipendenti. Il ragionamento prende pieghe probabilistiche: se il processo evolutivo non ha minimamente rapporto con fatti morali oggettivi, è altramente improbabile che, tra tutti i sistemi e le credenze possibili nel corso dell’evoluzione, si sia sviluppato proprio il sistema di valori, che rispecchia i fatti morali oggettivi. E quindi è abbastanza immotivato ritenere affidabile il processo di selezione naturale come produttore di credenze vere intorno alla morale e queste ultime come credenze rispecchianti fatti morali indipendenti. La posizione realista, per questa strategia di evolutionary debunking (questo il nome proposto da Guardo), viene così sgonfiata e indebolita, ma non completamento confutata. Si possono trovare altre ragioni per credere nella tesi realista o rispondere in maniera puntuale all’argomento del libro. In quest’ultimo caso due sono le strategie possibili: rifiutare la prima premessa (credenze morali di base frutto della selezione) o trovare un nesso tra la fitness delle credenze morali e la loro accuratezza nel cogliere “fatti morali oggettivi”. Per ricapitolare l’argomentazione, riportiamo per intero il riassunto del ragionamento proposto da Guardo (presente a p. 155):
Le nostre credenze morali sono il prodotto, più o meno immediato, della selezione naturale (e/o culturale);  ma (1) alla selezione naturale importa solo della fitness di una credenza e (2) la fitness delle nostre credenze morali non dipende dalla loro accuratezza;  inoltre, (3) l’insieme dei valori morali è solo uno tra gli innumerevoli sistemi di valori alternativi che la selezione poteva portarci a considerare oggettivamente normativi nei nostri rapporti con gli altri e (4) le cose che hanno davvero un valore oggettivo in relazione ai nostri rapporti con gli altri sono al più una frazione infinitamente piccola dell’universo delle cose di cui avrebbe potuto importarci;  quindi le nostre credenze morali (positive) sono quasi sicuramente tutte false; e visto che la principale ragione per credere che esistano risposte oggettivamente corrette agli interrogativi morali è che quest’assunzione è presupposta dalle nostre credenze morali (e in particolare da alcune di esse, apparentemente evidenti), questo significa che l’idea che esistano risposte oggettivamente corrette agli interrogativi morali è sostanzialmente immotivata.

Considerazioni conclusive: come si può riflettere a partire dal libro

Spero di aver presentato un quadro abbastanza esaustivo del testo di Guardo, sperando possa essere utile come riassunto orientativo per il lettore che si affaccia al testo. Come specificato all’inizio, questo testo è una proposta di filosofia, in particolare di filosofia delle scienze evolutive (libro 1) e di metaetica (libro 2). La prima proposta si intreccia con molte discipline e presenta una tesi, che deve necessariamente andare di pari passo con lo stato della scienza e avere un supporto, anche se indiretto, di tipo empirico. Questo è un problema molto delicato per la filosofia, soprattutto dal punto di vista metodologico. Siamo, infatti, al limite tra filosofia e scienza e ci sono molti dibattiti su come queste due realtà si devono interfacciare e su quali confini e problemi esse si devono attestare. E, se si vuole trattare di questi argomenti, è necessario considerare lo stato attuale e le prospettive delle varie discipline coinvolte nella ricerca in un’ottica anche attenta a come realmente la scienza procede. In questi casi uno dei rischi per la filosofia è scatenare una “guerra all’ultimo paper”, in cui si prende dalla scienza solo ciò che avvalora le nostre tesi. Il testo di Guardo rappresenta in questo senso un ottimo esempio di riflessione filosofica: da un lato non appiattisce la discussione in una semplice presa d’atto di ciò che dice la scienza; dall’altro è ben conscio della portata speculativa della sua tesi e presenta sia il campo di studi da cui ricava la maggior parte del materiale scientifico (e non) sia la differenza di consenso attribuito alle varie tesi esposte. È quindi un ottimo testo da cui partire per confrontarsi su questi temi specialistici, pur non trattandosi di un testo introduttivo. Ciò non vuol dire che il lettore non possa sollevare dubbi e non possa lui stesso, seduto su una scrivania con matita penna e taccuino, vedere attentamente, passo dopo passo, cosa lo convince e cosa no. E magari anche approfondire ulteriormente le questioni di filosofia della biologia e di metaetica. D’altronde, come detto all’inizio, la proposta è abbastanza ardita e lo stesso Guardo sottolinea i punti in cui può nascere una discussione. La tesi del libro 1, cioè la morale come frutto di processi selettivi, è molto forte, anche se viene mitigata in due modi (i processi selettivi possono essere anche frutto di selezione culturale e non solo naturale; le credenze più direttamente influenzate dal processo selettivo sono le credenze base e non quelle di altro tipo). Rispetto a questo argomento ci sono molte proposte teoriche, che vanno da un rigetto totale di nozioni biologiche a un appiattimento alla sola spiegazione scientifica, con tutte le gradazioni intermedie. Ci troviamo a dover affrontare una questione molto difficile, anche se molto in voga: il rapporto tra fattori “naturali” e fattori “culturali”. Per specificare meglio queste etichette a volte fuorvianti, sarebbe meglio definirli rispettivamente questi fattori come dotazioni prodotte da processi di tipo selettivo e come influenze dovute a condizionamenti culturali e sociali. Al netto di visioni estreme di ultrabiologismo e ultraculturalismo, in questo campo di studi si va di solito verso l’integrazione di questi due fattori, ma c’è molta diversità nella descrizione di questi ultimi e nel peso che si dà a ogni componente. Il pericolo da tenere a mente in queste tematiche è quello di scivolare in forme ingenue di innatismo o di biologismo pop; o ancora peggio avallare tesi razziste o sessiste sotto una patina di innatismo (non è il caso di questo libro, dato che si tiene a un livello di generalità molto alto). Ci sono alcuni esempi di queste estremizzazioni: alcune tesi della prima stagione della psicologia evoluzionistica (presentanti nel testo già citato di Pievani) e la più antica stagione dei darwinismi sociali. È bene quindi essere cauti, quando si tratta di questi temi. Personalmente (giusto per presentare una posizione diversa, ma questo articolo vuole parlare del testo), reputo che nella formazione delle nostre credenze basilari bisogni attribuire un ruolo più importante, rispetto a quello concesso nel testo, alla nostra educazione e all’apprendimento di codici valoriali (oltre che alle nostre scelte razionali). In questo senso sarei propenso a sposare tesi più vicine a quelle che Gould propone nei suoi testi divulgativi, cioè di un ampio range di possibilità entro cui si muove la nostra storia personale e collettiva (anche se la teoria di Guardo riesce a fornire uno spazio ampio alla cultura). Spero che questi spunti possano dare al lettore l’opportunità di ragionare sui temi del libro, anche riflettendo sulle tesi in cui vi può essere più discussione. Uno dei pregi, già ribadito, del testo è quello di presentare in maniera chiara i punti di possibile obiezione, oltre a essere un libro che propone una tesi propria su temi specialistici, argomentandola in modo rigoroso e rendendola chiara al lettore che vuole cimentarsi in questi temi.